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giovedì 28 giugno 2018

Il Burnley Di Sean Dyche: Tattica, Kick & Run ed Aggressività

In Inghilterra (e non solo) ci si è sempre chiesti se il gioco del Burnley e le competenze tattiche di Dyche non siano all’altezza anche di squadre di caratura superiore.
Fra le righe dei tabloids, si intuisce come momentaneamente Dyche sia uno dei profili più ambiti dalle dirigenze di molti altri club inglesi.
Un allenatore che parla la lingua del calcio britannico, cioè un tipico sistema all’inglese aggressivo che sfrutta la profondità verticale, senza troppi passaggetti orizzontali.
Fondato nel 1882, il Burnley FC è uno dei club più antichi d'Inghilterra.
I Clarets hanno alle spalle un passato più o meno glorioso: nel palmares figurano infatti anche 2 titoli di campione d'Inghilterra nel 1920/21 e nel 1959/60, 1 FA Cup nel 1913/14 e 2 Charity Shield , oltre a tante stagioni nella Prima divisione, dove la squadra era quasi sempre di casa fino a metà degli anni '70.
Poi un periodo buio di declino dopo la retrocessione in Second Division nel 1975/76, che vede la squadra rischiare addirittura la retrocessione nella Conference e poi una lenta risalita, culminata nel 2008/09 con la prima promozione in Premier League.
Qui ci resta un solo anno, e la stessa cosa accade nel 2014/15 dopo la seconda promozione.
L'anno successivo arriva la terza promozione in Premier in 9 anni e stavolta i Clarets, che con il Preston North End e il Wolverhampton Wanderers sono una delle 3 squadre ad aver vinto almeno una volta tutte le prime quattro maggiori divisioni calcistiche professionistiche inglesi, in Premier League ci rimangono.
Nel 2016/17 conquistano infatti la salvezza, trampolino per affrontare la nuova stagione con rinnovate ambizioni.


LA CITTA'
Burnley è il classico ritratto della provincia inglese grigia e dismessa, dove la disoccupazione giovanile è sopra la media nazionale e sulla Brexit non hanno avuto dubbi: il 67% ha votato favorevolmente, registrando assieme a Blackpool i valori più alti in tutta la contea del Lancashire.
La città è piena di cartelli con su scritto: "To Let. All enquiries call us".
Si vende, ma nessuno compra.
Negozi in disuso, vetrine vuote, discreta criminalità.
Hammerton Street è il corso principale, ecco altri annunci di agenzie immobiliari: "For Sale. Prime retail unit".
Una via di fuga dal grigiore diffuso è rappresentata proprio dal Burnley Football Club,


TURF MOOR, TIFOSI E VECCHIE ABITUDINI
Lo stadio è il Turf Moor (22.700 spettatori), uno dei più antichi d'Inghilterra e roccaforte della squadra di Dyche. 
Basti dire che anche se l'impianto di oggi ha subito un grande restyling negli anni rispetto alle origini, è uno dei pochi rimasti nel Paese ad avere il tunnel e gli spogliatoi dietro ad una delle porte.
I Clarets ci giocano ininterrottamente dal 1883, ovvero da ben 135 anni. 
La Tribuna Nord, un tempo Longside, oggi dedicata a James Hargreaves, ospitava una delle frange in assoluto più violente del tifo inglese, la "Suicide Squad".
Il gruppo criminale di Hooligans del Burnley, composto per la maggior parte da giovani di ideologia neonazista, è stato ufficialmente sciolto dopo i gravi fatti di violenza del 28 ottobre 2009 contro i tifosi rivali del Blackburn. 
Allo Station Pub di Preston Old Road si scatenò l'inferno: armi, bombe carta, molotov, spranghe, pale, cric, pezzi di staccionata, mazze ferrate, in quella che fu definita dalle autorità "un'esaltazione della violenza pura".
I capi, tra cui Andrew Porter (storico criminale del gruppo), furono arrestati, e il club sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle il triste passato.


IL BURNLEY DI SEAN DYCHE
I risultati ottenuti nella corrente Premier League sono frutto di cinque stagioni seduto sulla panchina di Turf Moor, un quinquennio in cui spicca la vittoria della Championship nella stagione 2015/16 nonchè il forte legame creato con l’ambiente.

Rachel Brown-Finnis (ex portiere della nazionale inglese femminile): "Non accetta che qualcuno possa allenarsi male. Esige disciplina, non solo tra i giocatori ma tra tutti i membri dello staff. L’anno scorso un giocatore andava spesso a lamentarsi da uno dei massaggiatori perché giocava poco. Dyche ha scelto di parlare col giocatore ma ha subito licenziato il massaggiatore: un gruppo forte si costruisce anche sulla fiducia"

Un suo ex compagno di squadra ai tempi del Bristol City, Soren Andersen, aveva dichiarato alla stampa che la ragione per cui la voce di Dyche era così rauca, era dovuta al fatto che in allenamento si mangiasse i vermi dei campi da gioco.
"I vermi? No solo un po’ di ghiaia a colazione" rispose Dyche, spiegando poi che si divertiva a prendere in giro Sorensen fingendo di «sgranocchiare» dei lombrichi e sputandoli senza farsi vedere.
Nel 2017, mentre il Burnley lottava per la salvezza e Guardiola attraversava il momento peggiore della sua esperienza inglese, il City riuscì in qualche modo a strappare un 1-2 al Turf Moor.
Al termine della partita, Guardiola nervosissimo, trovò un attimo di lucidità dicendo a Dyche: "Sei il primo allenatore contro cui non sapevo come giocare, ci avete aggredito, avete questo gioco lungo, molto rapido...ho dovuto cambiare sistema di gioco due/tre volte durante la partita, ci avete messo molto in difficoltà"

Il gioco del Burnley non c’entra nulla con il "passing football" di Guardiola ma con le grandi squadre della Premier condivide la forte identità tattica, e il rendimento superiore alla media e alle aspettative. In Premier League la squadra di Dyche è tra le ultime per % di possesso palla, per precisione dei passaggi, per passaggi corti a partita.
Tra le prime per passaggi lunghi e come conseguenza dello stile diretto anche per fuorigioco fischiati, per palloni spazzati, per duelli aerei vinti, precisione nei cross.
È tra le squadre che concede più tiri del campionato ma tra le prime nella classifica dei tiri contrastati dai difensori (la gran parte dei tiri viene da fuori area).
Cioè si tratta di una squadra che rifiuta la moderna evoluzione del gioco, abbracciando il kick & run.

"Non seguiamo una fede cieca, abbiamo un ottimismo autentico"

"Il club adesso è forte sia come strutture, sia come rosa, tanto da potermi permettere di variare tra il 4-4-2 di base e il 4-1-4-1 o il 4-5-1: una cosa del genere era impensabile durante l’ultima avventura in Premier. Rispetto a tante rivali non abbiamo grandi risorse economiche, nulla è scontato, ma gradualmente puntiamo a crescere per provare a restare in alto. Che, non lo nego, garantisce grandi profitti, specie grazie agli accordi televisivi"
Difensivamente parlando, ci sono sempre almeno due uomini pronti a coprire lo specchio della porta e a respingere la conclusione.
Sempre nella media del campionato inglese, le conclusioni tentate dalle zone esterne dell’area di rigore trovano l’opposizione di cinque o più uomini nel 4.37% dei casi, perché l’angolazione molto stretta rende difficile scalare in direzione della porta e occupare quella porzione ridotta di campo: nel Burnley, questa cifra si alza al 16.67%. Il che significa che non c’è tiro diretto verso la porta dei Clarets che non debba passare attraverso un mucchio selvaggio di gambe.
Da quando sono saliti in Premier, il Burnley rappresenta l’eccellenza difensiva del campionato sotto qualunque lente statistica, difficilmente si può parlare di coincidenza.
L’efficacia nel chiudere tutti gli spazi in area di rigore è soprattutto merito del grande sacrificio in copertura delle ali, che permettono ai terzini di restare strettissimi in fase di difesa posizionale.
Quando gli avversari si portano a ridosso della trequarti, trovano una linea di cinque/sei uomini a schermare tutta l’area di rigore in ampiezza, e devono anche aggirare la pressione di due o tre centrocampisti che attaccano il portatore di palla.
Gli attacchi cedono per frustrazione, e finiscono per prendersi molti tiri da posizioni proibitive, poco efficienti, cioè da fuori area oppure nelle zone esterne dell’area di rigore.
A questo sistema fondato sulla tenacia, sulla fiducia reciproca, sul livello altissimo di concentrazione e sul rispetto geometrico delle distanze tra i giocatori e tra i reparti, Dyche ha aggiunto un paio di intuizioni che ne riflettono l’animo innovatore e meticoloso: il gran numero di uomini a copertura dell’area di rigore permette ai due difensori centrali di interpretare una zona purissima.
Non è raro vedere i centrali (soprattutto Tarkowski) lasciare completamente libero il diretto avversario e muoversi rispettivamente in direzione dei due pali, seguendo l’angolo di tiro del tiratore.
Appena parte il cross, Tarkowski è libero da marcature e corre a coprire il palo.
Il baricentro del Burnley è bassissimo.
Dyche ci tiene a distaccarsi dalla figura dell’allenatore britannico, a cui viene associato per via delle caratteristiche peculiari del suo calcio: il 4-4-2, il baricentro basso, la solidità, l’attaccante grosso e forte di testa.

"Noi ci chiediamo: quali cose possiamo fare per affrontare la sfida? Non esiste dire: forza ragazzi! Possiamo farcela! Se ci crediamo, vinceremo! No, non funziona affatto così"

Contro squadre di caratura superiore, il Burnley gioca spesso partite coraggiose, riuscendo a mettere in crisi la costruzione bassa degli avversari con marcature a uomo a tutto campo.

Tim Quelch: "Mentre il Barcellona veniva acclamato per le fitte trame di passaggi, era soprattutto la fase di pressing a impressionarlo maggiormente"
Il Burnley alterna sapientemente un approccio più aggressivo a un approccio più attendista nel corso della partita, ma appena alza la soglia dell’intensità, il pressing si rivela efficacissimo.
Anche la fase di possesso, a dispetto delle statistiche, è notevolmente organizzata, soprattutto nella lettura delle situazioni di gioco, e capace di interpretare spartiti diversi.
È raro vedere il Burnley ricorrere al lancio lungo contro squadre che aspettano nella propria metà campo, con il baricentro basso.
I difensori centrali, soprattutto Tarkowski, con grande fiducia conducono la palla proprio per invitare la pressione avversaria e liberare spazi in avanti.
Uno degli uomini chiave è Cork.
Acquistato in estate per 10 milioni di sterline dallo Swansea, il centrocampista, che ha giocato in tutte le categorie giovanili con la nazionale inglese, sembrava la classica promessa non mantenuta.
Dyche lo ha piazzato davanti ai quattro della difesa, e Cork è diventato tra i pilastri della squadra e tra i giocatori che hanno corso di più e intercettato più palloni di tutta la Premier League.
Così Gareth Southgate lo ha prontamente convocato per le amichevoli di novembre 2017 contro Germania e Brasile e ai Mondiali di Russia i giocatori del Burnley nella rosa dei Three Lions potrebbero essere più di uno.
Successivamente diventano fondamentali le letture da regista offensivo di Defour, e soprattutto il supporto costante in ampiezza delle ali: l’islandese Gudmundsson e l’irlandese Brady.
La palla si muove sempre in diagonale, da un lato all’altro del campo.
Questo rende più agevoli le ricezioni, e di conseguenza gli scambi rapidi. Contro le squadre che invece alzano il baricentro e aggrediscono il possesso, Dyche adotta il pionieristico kick & run.
Il lancio lungo consente di aggirare il pressing alto e sbloccare rapidamente una potenziale transizione in attacco, potendo contare sulle proprie arieti davanti (Wood, Walters, Barnes e lo scorso anno anche Vokes).
Altri uomini chiave sono Jeff Hendricks (centrocampista di equilibrio) e il portiere Nick Pope (convocato da Southgate nella nazionale inglese per Russia 2018).
Il Burnley è una squadra che in attacco vive ogni calcio piazzato, dalle rimesse laterali alle punizioni da metà campo, come un’occasione irripetibile per trovare la via del gol, e che in difesa nasconde l’area di rigore agli avversari e gioca a spazzare la palla il più lontano possibile, con un piano preciso per creare superiorità nella zona in cui cade il lancio (quindi non lanci a caso).
Dyche è stato allevato nel Nottingham Forest di Brian Clough.
Pur essendo una delle società più antiche di Inghilterra, i Clarets non hanno mai avuto la possibilità di permettersi grossi investimenti. Quando Dyche ha conquistato per la prima volta la promozione in massima serie, nel 2014, per il Burnley è stata soltanto la seconda apparizione nella moderna Premier League.
In quel momento, la società si trovava in grosse difficoltà economiche.
A differenza delle altre neopromosse, condusse una campagna acquisti mediocre, limitandosi a pescare sei giocatori dalla Championship per una spesa complessiva intorno ai 13 milioni di euro.
Del resto, soltanto un anno prima, come ricorda con orgoglio Dyche, il Burnley era stato costretto a vendere Charlie Austin "per essere sicuri che non ci staccassero l’elettricità nello stadio"
Nel frattempo, però, la dirigenza ha dirottato i suoi investimenti sulla costruzione di un nuovo centro sportivo nell’area di Gawthorpe, su quelle colline dove alla fine degli anni 80, il giardiniere del club si recava a raccogliere del terriccio per riempire i buchi disseminati sul prato del Turf Moor.
Il Burnley nonostante un finale di stagione difficile, nel 2017/18 riesce a qualificarsi in Europa League, chiudendo al settimo posto in campionato: 36 gol fatti (15esimo attacco) e 39 gol subiti (sesta miglior difesa).


PUB INTITOLATO A DYCHE
Avendo scritto con il suo Burnley un piccolo miracolo sportivo in Premier League, a Dyche gli è stato dedicato un pub.
Il locale, tra i più noti, frequentati e vicini alla casa del Turf Moor, si chiamava The Princess Royal, ma dopo l’impresa Burnley il nome è cambiato in The Royal Dyche.
Tutto iniziò quasi per scherzo, racconta al Sun la proprietaria Justine Lorriman: "Mettemmo a inizio anno un cartello fuori dal pub (quelli classici dove solitamente c’è il menù e le offerte del giorno), scrivendo che se ci avesse tenuti in Premier League evitando la retrocessione avrebbe potuto bere gratis da noi".
Ma poi le cose sono andate ancora meglio, quando a dicembre la squadra si è ritrovata per un istante addirittura al quarto posto della Premier.
Quindi il resto è storia, l’Europa raggiunta e un pub che ha ormai cambiato nome.
Dyche: "Molti amici mi hanno mandato le foto su Whatsapp, non sapevo cosa pensare, ma quando ho saputo che avrei potuto bere gratis sono rimasto sorpreso"


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domenica 24 giugno 2018

La Storia Di Shohei Ohtani: Il Lanciatore-Battitore (MLB)

Quest'anno la pre-season MLB è stata abbastanza movimentata sia per motivi tecnici che di marketing, in particolare per la caccia a Shohei Ohtani: infatti il lanciatore/battitore giapponese aveva comunicato la sua intenzione di andare negli Stati Uniti.
Nel 2018 quindi sarà sicuramente un caso sportivo, mediatico, economico, di costume che alimenterà le cronache primaverili ed estive.

Sports Illustrated: "Ohtani sta per cambiare il volto del Baseball"

E lo farà grazie alla qualità più unica che rara per un giocatore: essere un fuoriclasse completo, fenomeno sia sul monte di lancio che nel box di battuta.
Uno che in Giappone riceveva 1000 dollari al mese dai genitori, viveva nel dormitorio della squadra e per andare al campo prendeva il pulmino collettivo.
Gli Hokkaido Nippon-Ham Fighters decisero di sceglierlo come primo assoluto nel draft 2012.
Dopo un mese di trattative, Ōtani annunciò che avrebbe firmato con i Fighters, trascorrendo qualche anno nella NPB prima di un eventuale passaggio nella MLB.
Gli venne assegnata la maglia numero 11, precedentemente indossata da Yū Darvish.
Debuttò nella NPB il 29 marzo 2013 nel ruolo di esterno destro.
Con i Fighters vinse il campionato nel 2016, anno in cui è stato premiato come miglior giocatore della Pacific League ed è stato convocato per quattro All-Star Game consecutivi dal 2013 al 2016. Oltre a giocare come lanciatore, Ohtani ha giocato come battitore designato e nel 2016 è diventato il primo giocatore della storia a vincere il Best Nine Award sia nel ruolo di lanciatore che in quello di battitore


MLB
Abbandonata la lega giapponese, per Ohtani si sono spalancate le porte della MLB.
Alla fine sono stati i Los Angeles Angels a metterlo sotto contratto, costato una “sciocchezza” grazie a una clausola che prevede che i giocatori stranieri under 25 che arrivano nel campionato americano entrino col minimo salariale.
Poco più di 500mila dollari all'anno più un bonus una tantum di un paio di milioni abbondanti.
Una buona scelta comunque in quanto i californiani, seppur franchigia ambiziosa (quindi potenzialmente prosperosa), non venivano da anni eccelsi (malgrado Mike Trout).
Ma come detto in apertura, Ohtani è un lanciatore/battitore quindi quale lega scegliere?
Ovviamente l'American (che prevede la regola del battitore designato. Nella National invece Ohtani avrebbe dovuto battere a prescindere) che è una scelta a doppio taglio.
Se il giocatore avesse sfondato in ambo i ruoli la ribalta mediatica sarebbe stata ovviamente incredibile (proprio per la regola dell'American in cui, come detto, è possibile sostituire il pitcher al turno di battuta), dall'altro lato però nella National avendo dovuto battere a prescindere non avrebbe avuto nessun tipo di problema (anche se le cose fossero andate male) continuando magari ad impratichirsi (avendo però la concorrenza di un osso durissimo alla battuta quale Madison Bumgarner, almeno per quanto riguarda gli HR, ben 17 in carriera per il pitcher dei San Francisco Giants).
Lo spring training aveva portato qualche nube oscura sul giapponese classe 1994, in entrambi i settori: sul monte di lancio aveva concesso 9 punti in soli 2.2 inning lanciati, mentre in battuta aveva collezionato 4 singoli in 32 apparizioni al piatto, a fronte di 10 strikeout.
Però quando il gioco si è fatto duro, il giapponese ha risposto presente.
Come lanciatore: il primo aprile ha esordito nella MLB con 6 inning in quel di Oakland: 3 valide e 3 punti concessi, 1 base su ball e 6 strikeout.
Dopo 7 giorni, di nuovo con gli A’s ma questa volta ad Anaheim: 6 inning di perfect game, prima di concedere un singolo e una base su ball, che sono anche stati il misero bottino totale degli ospiti, a fronte di ben 12 strikeout subiti.
Prima dell'infortunio: 3.10 di ERA stagionale (49.1 IP con 61 K) ed una WHIP di 1.14.
5 Quality Starts.
E se parliamo del box di battuta (come battitore designato ed esterno), i numeri sono ancora più straordinari: pur non giocando tutte le partite (chiaramente non va a battere nei giorni in cui lancia e nel giorno precedente), ha già all’attivo un'ottima AVG e diversi HR.
Ad oggi: 6 HR, .372 .OBP, 20 RBI e 17 R.
Ed anche una base rubata (malgrado i 193 cm e i quasi 100 KG di peso).
Il tuttofare del Sol Levante sta dimostrando di essere un fattore importante in questo primo periodo di adattamento, e allo stesso modo tutta la squadra sta viaggiando forte.
Un asso che negli USA non si vedeva dai tempi di Babe Ruth.

"Sono onorato di essere paragonato a lui e spero in futuro di avvicinarmi a quello che ha fatto"

Ecco, stiamo parlando di un personaggio di quella portata, di uno che potrebbe per i prossimi anni entrare in pianta stabile nella mitologia e nello show business.


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lunedì 18 giugno 2018

La Storia Della Big Red Machine (Cincinnati Reds)

I Cincinnati Reds negli anni 70 vennero etichettati come "The Big Red Machine", per via di record impressionanti, mai più ripetuti.
Tanto per intenderci una media di 100 vittorie a stagione dal 1972 al 1976.
95 vittorie dal 1970 al 1979 (953 vittorie e 657 sconfitte).
La "Big Red Machine" prese il suo nome, nell'estate del 1969.
Pete Rose aveva un vecchio camion pick-up del 1934, di colore rosso.

"Questo camion è la piccola macchina rossa. Questa squadra è la grande macchina rossa"

Bob Hunter, un giornalista sportivo di Los Angeles, è accreditato come la prima persona ad usare il termine, dopo che i Reds sconfissero i Phillies 19-17 in una slugfest nell'estate del '69.
L'ex fumettista dell'Enquirer, Jerry Dowling, stava disegnando pure lui il cartoon di "Big Red Machine" nell'estate del '69.
Fin dall'inizio, la franchigia dei Reds promosse fortemente la squadra come "The Big Red Machine".
Come vedremo vinsero 2 World Series: nel 1975 e nel 1976 (delle 5 vinte in totale, le altre nel 1919, 1940 e 1990).


THE BIG RED MACHINE
I Reds del 1976 con il lineup composto da Johnny Bench, Tony Pérez, Joe Morgan, il controverso Pete Rose, Dave Concepción, il minaccioso (e feroce, oltre che potentissimo) George Foster, César Geronimo e Ken Griffey dominarono la league, vincendo 102 partite e perdendone solo 60 nel loro cammino verso una post season terminata con la vittoria delle World Series e una sweep sugli Yankees.
Il lineup divenne noto come i "Great Eight", e tutti sono stati introdotti nella Cincinnati Reds Hall Of Fame, ad eccezione di Pete Rose, che rimane ineleggibile a causa dello scandalo scommesse sulle sue partite.
Rose comunque è leader di tutti i tempi in valide, Bench, Morgan e Perez invece HOF.
I "Great Eight", furono titolari insieme solo 88 volte nel corso delle due stagioni, vincendo 69 partite e perdendone solo 19 per un incredibile percentuale di vittorie di .784.
Giocarono al Crosley Field fino al 30 giugno del 1970, e poi i Reds si trasferirono nel Riverfront Stadium, uno stadio con 52000 posti a sedere sulle rive del fiume Ohio.
I Reds iniziarono il 1970 con il botto, vincendo 70 delle loro prime 100 partite.
Johnny Bench, Tony Pérez, Pete Rose, Lee May e Bobby Tolan furono i primi leader offensivi della Red Machine; Gary Nolan, Jim Merritt, Wayne Simpson e Jim McGlothlin i leader a livello di pitchers. I Reds volarono attraverso la stagione 1970, vincendo la NL West e il pennant della NL, spazzando i Pittsburgh Pirates in tre partite.
Alle World Series, tuttavia, furono battuti dai veterani dei Baltimore Orioles in cinque partite.
Dopo la pessima stagione del 1971 Cincinnati effettuò delle trade che si rivelarono vincenti.
I Reds del 1972 vinsero la NL West nel primo sciopero del Baseball che accorciò la stagione, e sconfissero i Pittsburgh Pirates in un’emozionante serie di cinque partite di playoff.
Affrontarono poi gli Oakland Athletics nelle World Series.
Sei delle sette partite furono vinte per un punto.
I Reds vinsero la terza corona della NL West nel 1973, dopo una rimonta drammatica nella seconda metà, che li aveva visti recuperare 10 partite e 1/2 sui Los Angeles Dodgers dopo la pausa per l'All-Star. Tuttavia persero il pennant della NL dai New York Mets in cinque partite.
La serie di New York fu segnata da polemiche per il comportamento dei fans dello Shea Stadium contro Pete Rose, quando lui e Bud Harrelson si picchiarono dopo una dura scivolata di Rose su Harrelson in seconda base nel corso del quinto inning di Gara 3.
Ci fu una maxi rissa tra le due panchine dopo che Harrelson rispose alla mossa aggressiva di Rose per impedirgli di completare un doppio gioco insultandolo.
Questa portò anche ad altri due incidenti in cui fu interrotto il gioco.
I Reds persero 9 a 2 e il manager di New York, Yogi Berra (ex catcher degli Yankees), e il leggendario Willie Mays, su richiesta del presidente della National League, Warren Giles, fecero un appello ai tifosi della zona sinistra del campo di trattenersi.
Il giorno dopo la serie venne allungata ad una quinta partita quando Rose colpì un fuoricampo nel 12 ° inning per pareggiare la serie con due partite a testa.
I Reds nel 1974 vinsero 98 partite, ma finirono secondi dietro ai Los Angeles Dodgers vincitori di 102 gare.
Hank Aaron arrivava nell’opening day con 713 HR, mancandogli un fuoricampo per pareggiare il record di Babe Ruth di 714. Aaron girò il primo lancio della stagione '74 realizzando il fuoricampo del pareggio contro Jack Billingham.
Il giorno dopo i Braves misero in panchina Aaron Braves, sperando di veder realizzare il suo fuoricampo record della storia nell’apertura della stagione in casa loro.
Il Commissioner del Baseball, Bowie Kuhn, ordinò al management dei Braves di far giocare il giorno dopo Aaron, dove mancò di poco lo storico fuoricampo nel quinto inning.
Aaron stabilì poi il record ad Atlanta due notti dopo.


GREAT EIGHT
Con il 1975, il lineup della Big Red Machine si solidificò con la squadra titolare composta da Johnny Bench (c), Tony Perez (1b), Joe Morgan (2b), Dave Concepción (SS), Pete Rose (3b), Ken Griffey (RF), Gerónimo César (CF), e George Foster (LF).
I lanciatori partenti includevano Jack Billingham, Don Gullett, Fred Norman, Gary Nolan,  Pat Darcy e Clay Kirby.
John Vukovich era il terza base titolare.
Si trattava di un difensore superbo ma debole alla battuta.
Sparky Anderson fece una mossa audace, spostando Rose in terza base, una posizione in cui aveva pochissima esperienza, e inserendo Foster all’esterno sinistro. Questa fu la scossa di cui i Reds avevano necessità per spingersi in prima posizione, con Rose che dimostrò di essere affidabile in difesa, mentre l'aggiunta di Foster nel campo esterno diede il valore aggiunto.
I Reds realizzarono due strisce pazzesche: vinsero 41 delle 50 partite in un solo periodo e giocarono un mese senza commettere errori in difesa.

Nella stagione 1975, Cincinnati conquistò la NL West con 108 vittorie, poi spazzò i Pittsburgh Pirates in tre partite per vincere il pennant della NL.
Nelle World Series, affrontarono i Boston Red Sox.
Dopo essersi divise le prime quattro gare, i Reds vinsero Gara 5.
I Reds erano avanti 6-3 con 5 out per vincere, quando i Red Sox pareggiarono la partita con un fuoricampo da tre dell'ex Reds Bernie Carbo. Fu Carbo il secondo pinch-hit che colpì un fuoricampo da tre punti delle Series. Dopo un paio di chiamate di closer in entrambe le formazioni, Carlton Fisk colpì un pazzesco fuoricampo al 12° inning sul palo di foul di sinistra (che è considerato uno dei più grandi momenti dello sport in TV di tutti i tempi) per dare ai Red Sox una vittoria per 7 a 6 e imporre una decisiva Gara 7.
Cincinnati prevalse il giorno dopo, quando Morgan battè il singolo RBI che fece vincere gara 7 e diede ai Reds le loro prime World Series dopo 35 anni. I Reds non persero una partita delle World Series dal fuoricampo di Carlton Fisk, in un arco di 9 vittorie consecutive.
Il 1976 vide il ritorno degli stessi otto titolari in campo.
I Reds vinsero la NL West con dieci partite di vantaggio. Rimasero imbattuti nella postseason (ad oggi l'unica squadra a farlo da quando sono stati introdotti i playoff), spazzando i Philadelphia Phillies (vincendo gara 3 nella loro ultima at-bat) per tornare alle World Series. Continuarono a dominare eliminando gli Yankees nel rinnovato Yankee Stadium, le prime World Series dal 1964. Questo è stato il solo secondo sweep di sempre degli Yankees nelle World Series.
Gli anni successivi portarono cambiamenti.
Tony Perez fu scambiato con Montreal dopo la stagione 1976, rompendo il quintetto delle Big Red Machine. Il manager Anderson e il general manager Howsam considerarono poi questa trade l'errore più grande della loro carriera. Il lanciatore partente Don Gullett andò via e nel tentativo di colmare questa lacuna, fu preparata una trade con gli Oakland A's per avere Vida Blue durante la off season del 76/77.
Ma Bowie Kuhn, Commissioner, pose il veto alla trade nello sforzo di mantenere l'equilibrio competitivo nel Baseball.
Il 15 giugno 1977, Tom Seaver lanciatore dei Mets fu ceduto ai Reds per Pat Zachry, Doug Flynn, Steve Henderson, e Dan Norman.
La fine dell'era della Big Red Machine era stata annunciata dalla sostituzione del General Manager Bob Howsam con Dick Wagner.
Tornando a Pete Rose, nell'agosto 1989, tre anni dopo il ritiro da giocatore, Rose fu bandito a vita dal Baseball in seguito alle accuse di avere scommesso sulle partite mentre giocava con i Cincinnati Reds, incluse quelle della sua stessa squadra.
Venne considerato "permanentemente ineleggibile" per l'HOF.
Nel 2004, dopo anni di pubbliche smentite, Rose ammise di avere scommesso sul Baseball e su, ma non contro, i Reds.
Il periodo incriminato però va dal 1984 al 1986.
L'investigazione rese pubblica l'esistenza di registri delle scommesse di Rose sul Baseball.


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venerdì 15 giugno 2018

La Storia Di Frode Andresen e Gli Errori Al Poligono (Biathlon)

Frode Andresen, olandese residente ad Honefoss (Norvegia), nato nel 1973 è stato tra i più forti biatleti almeno per quanto riguarda la velocità sugli sci.
Quello che l'ha frenato in carriera sono stati i tanti errori al poligono di tiro.
Come detto fu uno dei più veloci sciatori sugli sci, ma la sua precisione al tiro è sempre stata molto discutibile, ad esempio le sue statistiche di tiro nella stagione 2003/04 parlano di un 72% disteso e 67% in piedi.
Poco, troppo poco, se consideriamo che i migliori del Biathlon superano in media l'80%.

Katja Haller: "All´inizio della mia carriera ero una tifosa del norvegese Frode Andresen. La sua tecnica sugli sci era perfetta. Lui poi era un tipo riservato, che aveva pochi contatti con gli altri biathleti. Al poligono era incredibile: poteva sbagliare tutti i bersagli oppure rimanere senza errori. Per questo le sue gare sono sempre state molto emozionanti"

Iniziò a gareggiare nel 1985, l'esordio in coppa del mondo è datato 1993, lì riuscirà a vincere 15 gare, di cui tre vittorie ad Holmenkollen con due vittorie sprint (2000, 2001) e un inseguimento (2001).
In tutto Andresen ha ottenuto 47 podi individuali.
Il miglior piazzamento nella coppa del mondo fu il terzo posto nel 2001.
Nel 2002 si ricordi l'incredibile gara di Holmenkollen vinta da Fischer con Andresen secondo nonostante i 5 giri di penalità.
Il 22 gennaio 2006, Frode Andresen vinse la Golden Cup, che è un trofeo assegnato al biathleta con il maggior numero di punti durante i tre eventi mondiali dopo Natale.
Una delle sue imprese più grandi fu la vittoria a Ruhpolding nel 2006 quando praticamente rovinò la festa ai tedeschi già esultanti.
La gara praticamente era stata vinta da Rosch (0 errori al poligono e un buon tempo sugli sci, basti dire che Poirèe con altrettanti 0 errori era staccato di quasi 12 secondi), in quanto i più forti avevano già terminato la gara ed Andresen partiva con un pettorale altissimo.
Secondo posto per l'altro idolo di casa Greis.
Frode commette un solo errore in piedi ed è staccato di 14,5 secondi, impresa ai limiti dell'impossibile, eppure nell'ultima tornata (con la pista già abbastanza rovinata) riesce a recuperare secondi su secondi.
Vincerà Andresen (14esimo successo in carriera) con 3,7 secondi di vantaggio su Rosch.
Invece, sempre nello stesso anno, con la vittoria di Anterselva (la terza in carriera) raggiunse Dratchev e Rotsch al quinto posto dei plurivittoriosi all time.
Quel giorno per Andresen nessun errore al poligono (una delle rare occasioni in cui successe ciò) e quindi l'esito della gara non poteva che essere una netta vittoria sul connazionale Hanevold.
Fu la 15esima ed ultima vittoria in carriera.
Il 14 febbraio 2006, Andresen vinse la medaglia di bronzo nella volata di 10 km delle Olimpiadi invernali del 2006 con un tempo di 26: 31.3 (1 solo errore su 10 tentativi), ovvero 19.7 secondi dietro al vincitore Sven Fischer della Germania.
L'ultima gara di Andresen ai Mondiali è stata la sprint di Hochfilzen il 15 dicembre 2011 nella stagione 2011/12.


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lunedì 11 giugno 2018

La Storia Di Frank Worthington: Alcol, Droghe e Belle Donne

Frank Worthington fu un buon attaccante inglese, anche se frenato dagli eccessi alcolici e di droga.
A 18 anni firma per l'Huddersfield Town dove rimarrà sino al 1972, segnando 41 reti in 171 match.
Frank non indossava parastinchi e spesso le calze gli arrivavano alle caviglie, inoltre come detto aveva la reputazione di godersi la bella vita.
Attaccante forte fisicamente, alto ma con un'ottima tecnica di base che gli permette di saltare avversari in dribbling.
Dirà più di una volta che “il modo in cui gioco per me è più importante del risultato della mia squadra”.
E’ un individualista.
Lo è nel campo di calcio e lo è nella vita.
Il suo idolo assoluto è Elvis Presley.
La sua passione le donne.
Nel 1972 esce regolarmente con Miss Great Britain (Elizabeth Robinson) ma non si limita certo a lei.
La svolta della sua carriera sarebbe potuta avvenire quando viene adocchiato da Bill Shankly, manager del Liverpool (vincitore di 3 Campionati, 2 FA Cup ed 1 Coppa UEFA).
Frank è un noto frequentatore del "The Royal Swan" di Huddersfield.
Proprio nella partita contro il Liverpool è protagonista di una bruttissima partita.
Fatto sta che più o meno una settimana dopo arriva la chiamata di Bill Shankly (dopo una partita contro il Coventry).
Worthington non si presenta benissimo all'appuntamento della firma del contratto.

“Figliolo, non ti bastano i soldi che guadagni con il calcio? Fai anche i turni di notte in fabbrica?” 
Leggenda vuole che queste furono le parole di Shankly appena lo vide.

La pressione sanguigna è completamente fuori norma per uno di neppure 24 anni.
Shankly però non si rassegna e concede al giocatore un periodo di pausa, Frank se ne va a Maiorca.
Quando ritorna dalla vacanza, il Liverpool si rifiuta di mettere sotto contratto il giocatore e di pagare le 150.000 sterline richieste dall’Huddersfield per il suo cartellino.
Per lui sfuma l’opportunità di entrare in uno dei team più prestigiosi del mondo (che di lì a poco vincerà 4 Coppe Campioni in 8 anni).
L’Huddersfield retrocede invece in Seconda Divisione.
L’unica offerta concreta per lui arriva dal Leicester.
Sempre in quella estate, quella del suo frustrato passaggio al Liverpool, Sir Alf Ramsey lo convoca per l’under 23 inglese.
Worthington si presenta con stivali da cowboy, una maglietta di seta rossa e una giacca di pelle color giallo limone.
“Ma questo viene con noi a giocare a calcio o va all’Isola di Wight?” si domanda un più che perplesso Ramsey.
Al Leicester mostra appieno tutte le sue qualità.
Segna regolarmente ma soprattutto gioca in maniera sublime.
Nel 1974, con Joe Mercer Selezionatore della Nazionale inglese, dopo la mancata qualificazione ai Mondiali tedeschi, finalmente Frank trova spazio anche in Nazionale.
Gioca 8 partite, segna 2 gol ma il suo stile di gioco, la sua tecnica, il suo amore per la giocata di fino fanno innamorare gran parte dei tifosi inglesi.
Poco dopo però arriverà Don Revie, ex-manager del Leeds United.
Per “pazzi” come Frank non c’è posto nella Nazionale organizzata, disciplinata ed efficiente che ha in mente Revie.

“Lui voleva degli “yes-men pronti ad immolarsi per le sue assurde tattiche, ad ascoltare per ore i report sulle squadre avversarie e a provare e riprovare i suoi schemi” dirà Worthington in merito alla sua esclusione dalla Nazionale.

Al Leicester, Worthington rimarrà ben cinque stagioni, segnando con regolarità e giocando sempre ad ottimi livelli.
La sua vita fuori dal campo non cambierà di una virgola.
Miss Gran Bretagna e Miss Barbados sono solo due delle tantissime conquiste di Frank che continuerà a frequentare locali, a bere come se non ci fosse un domani e anche, come da lui stesso ammesso nella sua celebre autobiografia “One Hump or Two ?” a sperimentare diversi tipi di droghe, leggere e meno leggere.
Dopo la parentesi al Leicester è il suo vecchio Manager Ian Greaves che lo porta a Bolton, in Seconda Divisione.
Con i suoi gol il Bolton torna in First Division e addirittura nella prima stagione nell’elite del calcio inglese Frank Worthington vincerà la classifica marcatori segnando ben 24 reti e arrivando davanti a gente del calibro di Kenny Dalglish e Frank Stapleton.
Proprio in questa stagione Frank segnerà uno dei gol più belli e “geniali” di tutta la storia del calcio (contro l'Ipswich Town).
Dopo il Bolton inizierà per Frank un lungo girovagare tra Inghilterra e Stati Uniti.
Esperienze più o meno positive, tra cui sicuramente spiccano quella successiva al Birmingham e la breve parentesi ad Elland Road con il Leeds.
Alla domanda “Frank, pare che ora passati abbondantemente i 30 anni tu abbia messo la testa a posto?” gli chiede un giornalista televisivo.
“Assolutamente vero amico mio! Prima uscivo sette sere su sette.
Obiettivamente non è possibile per un giocatore professionista! Ora esco solo sei sere su sette!
Si ritirerà a 40 anni.


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mercoledì 6 giugno 2018

La Storia Di Barry Sheene: Incidenti, Viti In Corpo e Metal Detector

“Era una persona dai tratti nobili, viveva in un castello in Inghilterra, aveva un elicottero e una moglie bellissima che non guardava mai nessuno negli occhi”


Barry Sheene ("uomo d'acciaio"), classe 1950, nato a Londra si è goduto tutto della vita, dalla fama immensa (due titoli nelle 500 cc) al dolore passando per decine e decine d'incidenti ed operazioni chirurgiche.
Diventato famoso per il numero 7 sulla carena della sua moto, anche da campione del mondo (il primo e l’unico a farlo per anni), il Paperino di Disney sul casco per la buona sorte e una senza-filtro appesa alle labbra in griglia con addosso la tuta di pelle colorata e sponsorizzata (un pioniere dopo i tempi del “tutto nero” ).
Dedito alla bella vita, beveva, fumava e nell'epoca in cui erano pochi i piloti che percepivano compensi alti, si presentava in circuito con una Rolls Royce targata 7 BSR.
Si accompagnava stabilmente (almeno in pubblico) con Stephanie, ex coniglietta di Penthouse.
Negli anni ’70 Sheene è per le moto quello che James Hunt (altro inglese) è per la F1.
I due sono amici e formano inevitabilmente una coppia esplosiva che manifesta tutto il suo potenziale durante la trasferta in Giappone del mondiale ’76 di Formula 1.
La leggenda vuole che la preparazione per gara decisiva del biondo della McLaren non sia delle più convenzionali: pare che i due compari ricevano in albergo la cortese visita di una trentina di hostess della British Airways e di un numero imprecisato di tifose locali nel corso della loro permanenza giapponese. Per la cronaca quel mondiale termina con il titolo ad Hunt.


IL TERRIBILE INCIDENTE A DAYTONA
Daytona, Florida, test della 200 miglia del 1975 per le “big bikes” da 750 cc.
A oltre 270 km/h in piena curva sopraelevata il pneumatico posteriore della Suzuki esplode.
Polso, braccio, costole, vertebre, caviglia, femore tutto in pezzi.
Ci vogliono oltre 30 placche e viti per rimettere tutto insieme.
Sheene: “Se fossi un cavallo da corsa, mi abbatterebbero” 

Quel giorno del ’75 una troupe televisiva della BBC è presente sul tracciato della Florida per tracciare un profilo del talento emergente del motociclismo inglese.
Dall’incidente al ricovero tutto viene ripreso come in un “The Truman Show” degli anni ’70.
Sheene, da gran comunicatore qual è, lascia fare, perché capisce che quello può essere un gran colpo, che certamente non rende meno duro l’asfalto a 270 ma lo consegna all’Inghilterra intera e al mondo del motorsport come una superstar.
Dopo Daytona ci sono tante vittorie e altri schianti (Paul Ricard ‘80 con amputazione del mignolo e Silverstone ’82 con frattura di entrambe le gambe su tutti), con altre placche e altre viti, ma Sheene ritorna sempre in sella contro tutti e tutti, fino al 1984 anno dell’ultimo podio e del ritiro dalle corse.
Quindici anni di corse gli hanno lasciato tanta di quelle viti in corpo che per lui è impossibile passare un metal detector aeroportuale senza farlo suonare (gira il mondo con le radiografie in borsa!).
Si parla di 67 fratture in totale.


LA MORTE NEL 2003
Sheene se ne è andato presto, quando aveva solo 53 anni, per via di un tumore.
Si era trasferito in Australia dove il clima lo aiutava a patire meno per le ossa distrutte rispetto all’umida Inghilterra. Faceva il commentatore del motomondiale per la TV australiana, conoscendo tre lingue e la tecnica dei motori.
Era rimasto nell’ambiente che gli aveva dato tutto e preso molto.



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