“Era una persona dai tratti nobili, viveva in un castello in Inghilterra, aveva un elicottero e una moglie bellissima che non guardava mai nessuno negli occhi”
Barry Sheene ("uomo d'acciaio"), classe 1950, nato a Londra si è goduto tutto della vita, dalla fama immensa (due titoli nelle 500 cc) al dolore passando per decine e decine d'incidenti ed operazioni chirurgiche.
Diventato famoso per il numero 7 sulla carena della sua moto, anche da campione del mondo (il primo e l’unico a farlo per anni), il Paperino di Disney sul casco per la buona sorte e una senza-filtro appesa alle labbra in griglia con addosso la tuta di pelle colorata e sponsorizzata (un pioniere dopo i tempi del “tutto nero” ).
Dedito alla bella vita, beveva, fumava e nell'epoca in cui erano pochi i piloti che percepivano compensi alti, si presentava in circuito con una Rolls Royce targata 7 BSR.
Si accompagnava stabilmente (almeno in pubblico) con Stephanie, ex coniglietta di Penthouse.
Negli anni ’70 Sheene è per le moto quello che James Hunt (altro inglese) è per la F1.
I due sono amici e formano inevitabilmente una coppia esplosiva che manifesta tutto il suo potenziale durante la trasferta in Giappone del mondiale ’76 di Formula 1.
La leggenda vuole che la preparazione per gara decisiva del biondo della McLaren non sia delle più convenzionali: pare che i due compari ricevano in albergo la cortese visita di una trentina di hostess della British Airways e di un numero imprecisato di tifose locali nel corso della loro permanenza giapponese. Per la cronaca quel mondiale termina con il titolo ad Hunt.
IL TERRIBILE INCIDENTE A DAYTONA
Daytona, Florida, test della 200 miglia del 1975 per le “big bikes” da 750 cc.
A oltre 270 km/h in piena curva sopraelevata il pneumatico posteriore della Suzuki esplode.
Polso, braccio, costole, vertebre, caviglia, femore tutto in pezzi.
Ci vogliono oltre 30 placche e viti per rimettere tutto insieme.
Sheene: “Se fossi un cavallo da corsa, mi abbatterebbero”
Quel giorno del ’75 una troupe televisiva della BBC è presente sul tracciato della Florida per tracciare un profilo del talento emergente del motociclismo inglese.
Dall’incidente al ricovero tutto viene ripreso come in un “The Truman Show” degli anni ’70.
Sheene, da gran comunicatore qual è, lascia fare, perché capisce che quello può essere un gran colpo, che certamente non rende meno duro l’asfalto a 270 ma lo consegna all’Inghilterra intera e al mondo del motorsport come una superstar.
Dopo Daytona ci sono tante vittorie e altri schianti (Paul Ricard ‘80 con amputazione del mignolo e Silverstone ’82 con frattura di entrambe le gambe su tutti), con altre placche e altre viti, ma Sheene ritorna sempre in sella contro tutti e tutti, fino al 1984 anno dell’ultimo podio e del ritiro dalle corse.
Quindici anni di corse gli hanno lasciato tanta di quelle viti in corpo che per lui è impossibile passare un metal detector aeroportuale senza farlo suonare (gira il mondo con le radiografie in borsa!).
Si parla di 67 fratture in totale.
LA MORTE NEL 2003
Sheene se ne è andato presto, quando aveva solo 53 anni, per via di un tumore.
Si era trasferito in Australia dove il clima lo aiutava a patire meno per le ossa distrutte rispetto all’umida Inghilterra. Faceva il commentatore del motomondiale per la TV australiana, conoscendo tre lingue e la tecnica dei motori.
Era rimasto nell’ambiente che gli aveva dato tutto e preso molto.
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