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giovedì 26 settembre 2019

La Storia Di Magic Johnson: L'HIV e La Guarigione?

La madre: "Magic, ricordati che quel che il Signore dà, il Signore può prendere"

Earvin, più noto semplicemente come Magic Johnson (Lansing nel Michigan, 1959) è considerato uno dei più grandi giocatori della storia del Basket. Ha vinto 5 titoli NBA con i Los Angeles Lakers e la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 (con il primo Dream Team degli USA, visto che prima del 1992 giocavano gli universitari).
È stato eletto 3 volte miglior giocatore NBA e miglior giocatore delle finali NBA.
Magic è stato capace di rivoluzionare la pallacanestro: giocò infatti da playmaker, un ruolo tradizionalmente riservato al giocatore più basso e agile di una squadra.
Con i suoi 206 cm di altezza è stato il play più alto nella storia della NBA, ma al tempo stesso si è dimostrato un giocatore dinamico e dotato di un'eccellente visione di gioco.
Uno dei suoi più grandi rivali fu Larry Bird dei Boston Celtics.
Fino al 1992, anno del ritiro di Bird, i 2 si divideranno in totale 8 titoli NBA.


HIV 1991
Magic ha annunciato più volte il ritiro dall'attività agonistica.
La prima nel novembre 1991 quando, dopo un controllo di routine antecedente l'inizio della stagione NBA, ricevette la terribile notizia che aveva contratto il virus dell'HIV e lo rivelò al mondo.
Johnson prima di una partita si sentiva molto stanco, il manager lo convinse a giocare, quanto poco prima della palla a 2 il medico gli intimò di tornare subito da lui...per rivelargli la tremenda notizia.
Prima dell'annuncio, seguirono altre analisi: la sua assenza dai Lakers venne giustificata come una comune influenza. Tuttavia il referto confermo e quindi fu implacabile.
Il problema era come dirlo a tutti, Magic indusse una conferenza stampa con l'allora commissioner David Stern.

"Per cominciare, buon pomeriggio. A causa del virus dell’HIV che ho contratto, oggi devo ritirarmi dai Lakers. Prima di tutto voglio chiarire che non sono malato di AIDS, perché so che molti di voi vorranno saperlo, ma ho il virus dell’HIV. Voglio solo dire che mi mancherà giocare e che ora diventerò un portavoce della lotta contro l’HIV, perché voglio che la gente e i giovani capiscano che possono fare sesso sicuro. A volte si è ingenui e si pensa che queste cose succedano agli altri. Andrò avanti, sconfiggerò il virus e continuerò a divertirmi. Quindi, grazie ancora e a presto"
Poi fu la volta delle TV: "Magic Johnson è stato colpito dall'AIDS. È la fine della sua carriera"

Il 7 novembre 1991 infatti con queste parole la CNN sconvolse il mondo dello sport americano.
Magic aveva soli 32 anni: "I test non ammettono dubbi: sono stato colpito dal virus HIV, ora sto bene, ma non posso rischiare. Mia moglie sta bene, non ci sono problemi con lei"

Poi qualche parola anche per i suoi compagni: "Non sono morto e per quanto mi riguarda voglio vivere a lungo, venire qui a vedere le vostre partite e rompervi le scatole"

Questa terribile notizia, cambiò anche la percezione di una malattia di cui all'epoca si conosceva davvero poco (anche se i primi casi si erano già avuti nei primi anni 80 con diverse migliaia di vittime per tutto il decennio. Nei primi 30 anni di HIV dal 1981 al 2011 si contano oltre 25 milioni di vittime).

L'allora presidente Bush: "E' una tragedia. Per me, per tutti quelli che amano lo sport, Magic è un eroe. Quanto fatto dall' amministrazione americana per la lotta alla sindrome da immunodeficienza acquisita non è stato ancora tutto il possibile ma io correrò un giro di campo in più del necessario per dare il mio contributo alla soluzione del problema"

All’epoca, proprio per la scarsa conoscenza della patologia e per le poche ricerche che erano state fatte, si pensava che avere l’HIV significasse morte certa. Era solo questione di tempo prima che l’HIV degenerasse nel virus dell’AIDS e sopraggiungesse la fine, perché non c’erano vaccini o cure universalmente riconosciute come efficaci.
"Ero seduto lì, con a fianco il coach (dei Los Angeles Lakers) dicendo che non poteva capitare a me. Mi credevo invincibile"
Sul campo dei Knicks il coach Pat Riley, grande amico di Johnson, chiese al pubblico di osservare un minuto di silenzio, come si fa quando muore qualcuno.
Magic comunque decise di diventare subito simbolo della lotta all'AIDS che negli Stati Uniti all'epoca aveva causato 125mila morti e contava già 200mila malati.
Il virus aveva già colpito altri settori (musica, moda, cinema, etc) ma il giocatore dei Lakers fu il primo sportivo a dichiarare di averlo contratto. Si pensava che riguardasse soprattutto il mondo omosessuale (e dei tossicodipendenti) e invece mutò la vita di un uomo che si era sposato da poco con una donna che dopo pochi mesi, a giugno, avrebbe partorito Earvin III.
Contrasse il virus ovviamente non per sfortuna né per siringa od omosessualità, come Rock Hudson, ma per orgia. Come tanti campioni dello sport, Magic non sapeva resistere alle tentazioni delle "groupies", delle donne del reggimento che seguono i professionisti dello sport o le band Rock, offrendosi anche gratis o a prezzi famigliari per una notte col divo. Rivelò lui stesso di essere andato a letto con quattro donne contemporaneamente e di avere abbandonato brevemente una discussione contrattuale per appartarsi nell' ufficio accanto con una segretaria disponibile, sbattuta su una scrivania, mentre nella stanza vicina si discuteva di % e clausole.
Nonostante la decisione di lasciare il Basket, Magic Johnson fu votato nel quintetto di partenza dell'All Star Game 1992 che si disputò a Orlando. La scelta fu molto controversa perchè alcuni giocatori avevano paura di essere contagiati.
I compagni di squadra Byron Scott e A.C.Green espressero la loro contrarietà.
Karl Malone degli Utah Jazz disse: "In campo può capitare di ferirsi, a me succede spesso. Non possono dire che non sia un rischio farlo giocare, non potete dirmi che non ci stiano pensando tutti i giocatori NBA"
Magic alla fine non solo giocò quella partita ma fu anche eletto MVP con un totale di 25 punti di cui 10 segnati già nel primo quarto.
Il numero 32 dei californiani fu convocato anche nel Dream Team statunitense (Spagna 1992) che incantò il mondo a Barcellona e nelle 3 partite conclusive (quarti, semifinale e finale) andò sempre in doppia cifra.
Dopo di ciò si ritirò.
Furono comunque anni di cambiamenti: basti dire che da allora giocatori feriti o con la maglietta insanguinata sono costretti a lasciare il campo ("Magic Johnson Rule").
Poco dopo però Magic annunciò di voler tornare a giocare nei Lakers ma fu costretto a fare retromarcia.
Dopo un taglio subito in una gara di preparazione ci fu la svolta improvvisa: "Leggevo la paura sulle facce degli altri. Avversari e compagni si chiedevano: «Sarà fasciata bene? Non perderà sangue? 
Poi ho parlato a mia moglie, le ho detto: sai, ieri sera non mi sono divertito. Continuavo a pensare a quel taglio e a quella fasciatura. Io non ne ho bisogno, tu non ne hai bisogno, possiamo andare avanti divertendoci e godendoci la vita. E io posso continuare il mio lavoro fuori dal Basket"

Qualche anno dopo però ci ripensò e il 30 gennaio del 1996 riassaporò le emozioni del parquet con la maglia gialloviola: 19 punti, 10 assist e 8 rimbalzi per Magic nel match vinto contro i Warriors.
Fu il primo di 32 gare della sua seconda vita cestistica ma i Lakers, nonostante la sua presenza, furono eliminati al primo turno dei playoff dagli Houston Rockets.
A fine anno Johnson annunciò il suo ritiro definitivo: "Sono soddisfatto del mio ritorno, anche se speravo potessimo arrivare più avanti. Ma ora sono pronto a lasciare per davvero. È tempo di andare avanti".


LE CURE E LA GUARIGIONE?
I medici lo sottoposero a una prima cura sperimentale a base di farmaci antiretrovirali.
Molti erano convinti di non vederlo mai più.
Nel 1997 pare che il virus, se non debellato, era almeno scomparso dagli esami clinici. Come aveva detto Elisabeth Glaser, una madre di famiglia infettata da HIV durante una trasfusione e divenuta sua amica e attivista politica "se fra di noi c' è uno che ce la può fare, questo è Magic Johnson".
Aveva ragione. Elisabeth è morta. Magic sta bene.
"Guarito" è una parola grossa, anche se nel mondo dell' AIDS si comincia a pronunciarla con qualche timida speranza.
L'intervista in cui la moglie Cookie afferma che Johnson ha battuto l'AIDS è stata smentita anche dai medici che lo curano.
Ma il virus era ai tempi ormai invisibile. La realtà è più brutta di quello che la moglie Cookie aveva comunicato al mondo ai tempi ma resta sufficientemente miracolosa per dare una potentissima spinta alle speranze dei milioni di sieropositivi.
Dopo questa dichiarazione shock (in positivo, naturalmente) intervennero, però, molti medici per spiegare che il virus esisteva ancora nel corpo di Magic ed è perfettamente in grado di contagiare altre persone.
Tuttavia furono passi avanti notevoli visto che, nei primi anni 90, sarebbe stato impensabile arrestare in questo modo il decorso della malattia.
Quasi il 90 % di coloro che si assoggettano alla medesima terapia, un cocktail di farmaci da assumere secondo una cadenza rigorosissima, hanno ottenuto risultati analoghi e, senza dubbio, confortanti.
L'esatta diagnosi è che l'HIV è calato a livelli "invisibili". Tuttavia, puntualizzano Ho ed Hellman in un comunicato congiunto, "è indispensabile enfatizzare che "invisibile" non equivale ad "assente". Inoltre "invisibile" può significare che l'HIV non compare nel sangue o nello sperma, ma che magari si annida negli intestini".

Il medico David Ho (in un'intervista del 2011) racconta: "Oggi la difficoltà principale è fare in modo che prenda le pillole ogni giorno sempre alla stessa ora. È una sfida perché Johnson è un uomo molto impegnato ma si rende conto di quanto sia importante. Ormai è diventato un simbolo della vita contro l’HIV. Sa quello che serve per combattere il virus e lo fa" 

La malattia non ha impedito a Magic di diventare un simbolo anche fuori dal campo ergendosi a imprenditore di successo, con partecipazioni in famose multinazionali. È il proprietario dei Los Angeles Dodgers e il suo parere era e resta tra i più influenti d'America anche in politica.

"Non fatevi illusioni, non abbassate la guardia, non ripetete i miei errori, non dimenticate la prevenzione"

E a tutti ripete sempre il suo slogan: "Stay ready to keep from getting ready" ("Siate sempre pronti, per non dovervi preparare all’ultimo istante").


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venerdì 20 settembre 2019

Stabilire Il Valore Di Mercato e Trovare Giocatori Simili? Wallabies e Il Machine Learning

Wallabies è una startup fondata a Milano da Luigi Libroia, Marco Englaro e Federico Romano, che ormai da qualche anno sta provando a rivoluzionare il concetto di scouting, mettendo le società di calcio nelle condizioni di individuare all’interno di un database con più di 30 mila calciatori i potenziali fenomeni del futuro.
Sono 11 i campionati monitorati: i principali europei più quello brasiliano ed argentino.

Libroia: "L’idea è nata quando abbiamo dovuto effettuare, nel nostro ruolo di commercialisti, una stima del valore complessivo di una società di Serie A. Se infatti per la valutazione di gran parte degli asset aziendali esistono prassi consolidate che consentono di arrivare a una valutazione attendibile, il compito più difficile è quello di stimare il valore della rosa dei calciatori. Abbiamo così pensato di stimare il valore di ciascun giocatore sulla base del prezzo emerso in transazioni di mercato di calciatori comparabili"

Vista la complessità delle variabili in gioco è stato necessario utilizzare sistemi di machine learning.
Il software realizzato da Wallabies, attraverso l’elaborazione di circa 580 variabili tecniche, da quelle base a quelle più complesse, consente infatti di comparare tra loro i calciatori, individuando quelli con caratteristiche simili.
Il sistema funziona mediante algoritmi che permettono di analizzare enormi quantità di dati e rintracciare al loro interno dei pattern ricorrenti in modo da estrarre automaticamente l’algoritmo necessario per ottenere i risultati desiderati.


COSA SUCCEDE DURANTE UNA PARTITA
Wallabies analizza anche ciò che succede un attimo prima e dopo una determinata azione, ad esempio un passaggio o un tiro. Perché il giocatore si trovava in quella posizione? È una zona del campo dove è solito operare? E cosa è successo dopo il passaggio? Grazie a ciò è più semplice comprendere l'impatto del singolo calciatore nella dinamica della partita, potendo classificare le sue peculiarità in determinate graduatorie, come tecnica, agilità, resistenza, etc
Una volta ottenuti i profili degli atleti questi possono essere comparati tra loro, per capire quale giocatore sta giocando meglio in un determinato lasso di tempo.
Ma è possibile fare anche l'operazione inversa, ovvero scegliere determinate caratteristiche e chiedere al sistema quali sono i profili che maggiormente corrispondono alle richieste. È facile capire che questo sarebbe uno strumento utilissimo per individuare la giusta aggiunta alla propria formazione solo sulla base della resa reale, senza essere influenzati da voci di mercato.
Infine gli algoritmi possono anche analizzare l'aspetto psicologico del giocatore, individuando in quali occasioni sono migliori le sue performance, come ad esempio quando affronta una squadra di prima fascia, o mentre la sua squadra è in svantaggio. Quest'ultima parte può evidenziare particolari difficoltà emotive, suggerendo su chi puntare maggiormente.


VALORE DI MERCATO E SCOUTING
Wallabies inoltre monitorando costantemente il mercato giocatori dei migliori campionati è in grado di stabilire, sempre sulla base della resa reale di un giocatore, quale dovrebbe essere il giusto valore di mercato, equiparandolo ad atleti con caratteristiche simili. Ma anche qui il processo può essere invertito, prendendo come riferimento un giocatore particolarmente in forma, analizzando la sua curva di miglioramento e cercando giocatori, magari meno conosciuti, che stanno avendo una curva di performance simile, andando a fare il classico colpo di mercato.
L'idea è quella di stimare per ogni singolo atleta il suo valore di mercato, attraverso un ranking di performance e analisi predittive sul suo "potenziale" futuro, nonché attraverso analisi comparative identificare giocatori ed atleti "simili" semplificando così lo scouting per le società sportive.
Se la dirigenza di un club volesse infatti individuare tra i giocatori censiti nel database di Wallabies il giovane che, per caratteristiche tecniche e di gioco, più si avvicina a Cristiano Ronaldo, sarebbe in grado di avere la risposta.
E sarebbe pertanto nelle condizione di muoversi in anticipo e di comprare il giocatore prima che il suo nome venga segnato sui taccuini degli scout.
Sarebbe sbagliato però sostenere che l’intelligenza artificiale di Wallabies voglia sostituirsi alle conoscenze e all’intuito di direttori sportivi o dei talent-scout.
Il sistema messo a punto da Wallabies consente di agevolare la ricerca di un possibile acquisto passando da migliaia a poche decine di calciatori, ma poi le decisioni finali spettano gli scout.


MACHINE LEARNING
L’intelligenza artificiale tuttavia rappresenta il vero asso nella manica per affermarsi nel mondo del calcio professionistico e, in futuro, anche in quello di altri sport.
Rispetto ai sistemi di valutazione dei giocatori basati su algoritmi messi a punto dall’uomo, i sistemi di machine learning e di reti neurali di Wallabies sono in continua evoluzione.
La macchina, sulla base dei dati costantemente acquisiti nel tempo, è infatti in grado di "imparare" (sistema auto-apprendente) quindi perfezionare continuamente il sistema di analisi.


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sabato 14 settembre 2019

La Storia Delle Nazionali Americane: Collegiali e Dream Team (Basket, Baseball, Hockey)

Come si sa il Calcio lo hanno inventato gli inglesi, allo stesso modo il Basket è invece prerogativa degli americani.
Sino al 1989, la FIBA vietava ai giocatori americani pro (NBA) di partecipare ai giochi olimpici (nelle altre competizioni, ad esempio il mondiale avrebbero potuto schierarli).
Sino al 1992 saranno sempre i collegiali a difendere i colori americani: le olimpiadi di Barcellona (1992 appunto) segneranno l'esordio del primo vero dream team della storia.
Sino al primo vero dream team della storia, gli USA avevano schierato sempre collegiali (dilettanti) o rappresentative delle forze armate.
Dal 1992 in poi solo giocatori NBA (il top o giocatori medi in alcune occasioni), con l'esclusione delle olimpiade greche del 1998 dove per via della serrata tra proprietari delle franchigie e giocatori, vennero collegiali o qualche americano che giocava in Europa.
I dream team più deludenti, tra mondiali ed olimpiadi, furono quelli del 2002, 2004, 2006, 2019 (con un disastroso settimo posto, dopo esser stati eliminati dalla Francia e poi battuti dalla Serbia nella finale di consolazione per il quinto/sesto posto).
I grandi dream team furono quelli del 1992, 1994 (Dumars, Price, Kemp, Mourning, Shaquille O'Neil, Reggie Miller), 1996 (Barkley, Grant Hill, Hardaway, Pippen, Karl Malone, Olajuwon, Reggie Miller, Payton), 2008 (Jason Kidd, Chris Paul, Wade, Kobe Bryant, Prince, LeBron James, Bosh, Howard), 2010 (Durant, Curry, Love, Derrick Rose, Westbrook, Iguodala), 2012 (Durant, LeBron James, Westbrook, Deron Williams, Chris Paul, Kobe Bryant, Love, Harden, Anthony Davis, Carmelo Anthony), 2014 (Curry, Thompson, Derrick Rose, DeRozan, Gay, Irwing, Cousins, Harden, Drummond, Anthony Davis), 2016 (Durant, Thompson, Irwing, George, Carmelo Anthony, Cousins).
In particolare il dream team del 1992 è ovviamente quello più noto.
Ai tempi gli Stati Uniti vogliono dare spettacolo, stravincere e far capire al mondo intero qual è la squadra numero 1 nella pallacanestro mondiale. L’allenatore selezionato è Chuck Daly, ex allenatore dei Pistons e due volte campione NBA con Detroit nel 1989 e 1990.
Michael Jordan, Magic Johnson e Larry Bird insieme nella stessa squadra.
Il leader dei Bulls, dei Lakers e dei Celtics uniti per la medaglia d’oro. Il resto del team era completato da Scottie Pippen, Charles Barkley, John Stockton, Chris Mullin, David Robinson, Pat Ewing, Karl Malone, Christian Laettner (miglior giocatore della precedente stagione NCAA,unico collegiale e preferito di poco a Shaquille O’Neal) e Clyde Drexler.
Non venne convocato Isaiah Thomas, playmaker dei "Bad Boys" di Detroit, pluricampioni NBA. Forse fu Michael Jordan in persona a porre il veto di fronte al playmaker dei Pistons.
I rapporti tra Jordan e Thomas non erano ottimali e nascono dal trattamento riservato da Thomas a MJ durante l’All Star Game del 1985, in cui giocando da rookie, la guardia dei Bulls doveva essere "evitato" dai compagni su ordine di Thomas.
Ad ogni modo in vista della preparazione alle olimpiadi 1992, celebre un allenamento in cui, Chuck Daly forma due squadre, la bianca guidata da Jordan con Malone, Ewing, Pippen, e Bird e la blu guidata da Magic con Barkley, Robinson, Mullin, e Laettner.
Il girone fa capire a tutti quale sarà la musica contro il team USA.
Scarti abissali, punteggi altissimi per gli americani e bassissimi per gli avversari. I giocatori avversari sembrano sconvolti, si gioca contro un livello differente, contro degli extraterrestri.
117 punti di media nel torneo per i ragazzi di Coach Daly, 44 punti di scarto medio agli avversari, difesa super e in attacco nessuna pietà, cifre impressionanti.
Nei quarti di finale contro Porto Rico, Team Usa continua la sua marcia, 115-77, Mullin miglior marcatore a quota 21, Laettner e Pippen miglior rimbalzista e assistman entrambi a quota 8. E’ tempo di semifinale a Barcellona per gli americani, che affrontano la Lituania guidata da  Marciulionis e Sabonis. Il punteggio è un imbarazzante 127 a 75.
21 punti per Michael Jordan, 8 rimbalzi per David Robinson e 8 assist per Magic Johnson.
La finale è contro la Croazia, stato indipendente a causa della separazione della Yugoslavia, guidata da Drazen Petrovic, che ha già fatto vedere qualcosa del suo incredibile talento dall’altra parte dell’oceano e da un giovane Toni Kukoc. Su quest’ultimo viene applicata una difesa serratissima da parte di Scottie Pippen e Michael Jordan che lo mettono in estrema difficoltà.
117-85 il risultato finale tra USA e Croazia.
22 punti per Jordan e solita distribuzione omogenea tra gli americani.
Medaglia d’oro per gli Stati Uniti, che si sono ripresi la vetta del Basket mondiale, non solo vincendo, ma dominando.
Barkley fu il massimo realizzatore della squadra con 18 punti di media, Magic e Jordan chiusero rispettivamente a 8 e 15 di media.


BASEBALL
A livello di Baseball, furono solo 5 le edizioni ai giochi olimpici: 1992, 1996, 2000, 2005 e 2008.
Invece la storia dei mondiali è ben più vecchia e risalente al 1938 sino al 2011.
Poi il mondiale si è giocato in simultanea (anche se non nello stesso anno) al World Baseball Classic nato nel 2006 ed è stato mandato in pensione (e sostituito) dal 2011 in poi.
Per quanto riguarda il mondiale gli Stati Uniti persero le inaugurali World Series amatoriali del 1938 il primo titolo risale al 1973, seguito da quello del 1974).
In totale furono quattro gli oro (1973, 1974, 2007, 2009 ).
Un po' come per il Basket, anche qui gli USA erano rappresentati da giocatori dei college, mentre Cuba utilizzava i suoi migliori giocatori.
Nel 2007 e 2009 iniziarono a schierare giocatori delle Minors League, la stessa cosa successe con le olimpiadi dal 2000 in poi.
Invece i giocatori pro quindi della MLB si sono visti solo nel 2006 con il World Baseball Classic (sostituì il mondiale ma sostanzialmente si tratta di una competizione ad invito, in base al prestigio delle nazionali, senza tornei di qualificazione).
Qui, a differenza del Basket, la vittoria degli USA non può mai essere scontata visto che squadre come Cuba, Porto Rico, Venezuela, Messico (più Giappone) hanno roster pieni di giocatori MLB.
Il 17 gennaio 2006, gli Stati Uniti annunciarono il loro elenco provvisorio di 60 giocatori.
Poi i 28 definitivi tutti della MLB (tra gli altri Joe Nathan, Derek Jeter, Alex Rodriguez, Matt Holliday, Mark Teixeira, Chase Utley).
Il fatto che 4 Yankees siano stati selezionati per la squadra infastidì il proprietario George Steinbrenner, che si oppose al WBC che si teneva nel bel mezzo dello Spring Training al punto in cui nel complesso della sua squadra a Tampa, in Florida, pubblicò un cartello per scusarsi della loro assenza deridendo il torneo.
Nonostante una sorprendente sconfitta con il Canada, gli Stati Uniti passarono al secondo turno tramite tiebreaker. Tuttavia, le sconfitte al secondo turno contro la Corea del Sud e il Messico permisero al Giappone di avanzare sugli americani attraverso il tiebreak.
Nel 2009 arrivarono al quarto posto, dopo aver perso nel girone contro il Venezuela per 5-3 e nel secondo turno per addirittura 11-1 contro Porto Rico.
Il match decisivo per le semifinali fu proprio contro Porto Rico, con questi avanti per 5-3 al 9 ° inning e con i singoli di Shane Victorino, Brian Roberts e di David Wright che permise agli USA di ribaltare la partita e vincere 5-6.
Poi verranno sconfitti 9-4 in semifinale contro il Giappone.
Nel roster c'erano: Roy Oswalt, Derek Jeter, Evam Longoria, Dustin Pedroia, Jimmi Rollins, David Wright, Curtis Granderson, Ryan Braun, Shane Victorino).
Quattro anni dopo (2013) fu invece Porto Rico a battere ed eliminare la squadra americana 4-3 (che nel girone era stata battuta anche dal Messico).
Americano che convocarono Eric Hosmer, Jimmy Rollins, Derek Holland, Glen Perkins, Craig Kimbrel, Adam Jones, Giancarlo Stanton, Jonathan Lucroy, Gio Gonzalez.
Nel 2017 invece, sconfiggendo il Giappone per 2-1 arrivarono per la prima volta in finale. Nella finale del 22 marzo, affrontarono ancora una volta Porto Rico, battendolo 8-0 e conquistando il primo titolo mondiale di WBC. Dopo la conclusione del torneo, Eric Hosmer, Christian Yelich e Marcus Stroman vennero nominati nella squadra All World Baseball Classic 2017.
Il roster americano comprendeva anche all stars come Chris Archer, David Robertson, Buster Posey, Jonathan Lucroy, Alex Bregman, Paul Goldschmidt, Daniel Murphy, Adam Jones, Matt Carpenter, Nolan Arenado, Ian Kinsler, Giancarlo Stanton, Andrew McCutchen, Christian Yelich.


HOCKEY
Per quanto riguarda l'Hockey, il discorso fatto per il Baseball, si accentua maggiormente.
Storicamente è sempre stato il quarto sport americano dopo Baseball, Football Americano e Basket.
L'Hockey è invece sport nazionale in Canada.
Per questi motivi, nel palmaras americano figurano solo due ori mondiali, vinti nel 1933 e nel 1960 (si trattava delle olimpiadi invernali) e due ori olimpici, vinti nel 1960 e nel 1980.
In particolare il torneo olimpico del 1980 a Lake Placid è considerato uno dei più grandi successi ottenuti dallo sport americano in generale, tale da essere ricordato come il "Miracolo sul ghiaccio": una squadra formata da dilettanti, universitari e qualche professionista (senza grande esperienza) riuscì nell'impresa di sconfiggere i fortissimi avversari dell'Unione Sovietica, aggiudicandosi l'oro.
Quel 22 febbraio del 1980, dalle parti di Lake Placid c’era chi credeva nei miracoli.
Erano gli USA, che come da tradizione si erano presentati con una squadra composta in toto da dilettanti e universitari. Una squadra giovane, scapestrata, che poteva far affidamento solo ed esclusivamente su un tifo di casa che, in tempi di piena Guerra Fredda, sentiva l’identità nazionale come mai prima di allora.
Contro l'URSS in fase di preparazione avevano perso 10-3 però il girone era stato ben giocato con un gioco fisico e duro (batterono anche la forte Cecoslovacchia).
Finale fu quindi.

New York Times: "A meno che il ghiaccio non si sciolga, o a meno che la squadra americana non compia un miracolo, ci si attende che i russi vincano la medaglia d’oro per la sesta volta negli ultimi sette tornei"

Dopo un match fatto di rimonte e ribaltamenti di fronte, gli USA vinsero 4 a 3: e miracolo biblico fu. Un miracolo sportivo che venne rappresentato anche su pellicola, con i film Miracle On Ice nel 1981 e Miracle nel 2004 con un grande Kurt Russell.
Rimase nella storia anche la frase celeberrima pronunciata dal telecronista della ABC Al Micheals negli ultimi 5 secondi della sfida contro l’ URSS: "Do You Believe In Miracles? Yes!"
Quella del 1960 è invece nota come il "Miracolo dimenticato".
Sino al 2002, prima che la NHL, mettesse una pausa, gli USA avevano giocato sempre con dilettanti/collegiali (le altre nazionali con professionisti).
Nello stesso anno gli Stati Uniti ottennero una medaglia d'argento alle Olimpiadi invernali del 2002 con un roster che includeva le star della NHL Adam Deadmarsh, Chris Drury, Brian Rafalski e Brian Rolston.
Sebbene la squadra olimpica del 2006 abbia concluso con un deludente ottavo posto, si trattava di una squadra di transizione, con giovani giocatori della NHL come Rick DiPietro, John-Michael Liles e Jordan Leopold.
Quella del 2010 era composta da giocatori giovani (e future stelle NHL) come David Backes, Dustin Brown, Jack Johnson, Patrick Kane, Phil Kessel, Zach Parise, Joe Pavelski, Bobby Ryan, Paul Stastny e Ryan Suter.
Dopo aver battuto la Finlandia per 6–1, gli Stati Uniti si giocarono la medaglia d'oro, perdendo 3-2 contro il Canada all'overtime. Questa partita venne vista da circa 27,6 milioni di famiglie statunitensi. Questa è stata la partita di Hockey più seguita in America dal 1980 "Miracle on Ice", incluse Stanley Cup e NHL Winter Classic.
L'NHL però dal 2018 ha vietato a tutte le nazionali di invitare qualsiasi giocatore che deteneva sotto contratto. La squadra americana ha avuto un particolare svantaggio, poiché oltre il 31% dei giocatori della NHL sono americani (a confronto, solo il 4,1% sono russi). Di conseguenza, gli Stati Uniti fecero una squadra in fretta e furia con alcuni che giocavano in Europa.
Il torneo venne vinto dalla Russia, potendo schierare giocatori della KHL (con ex NHL del calibro di Pavel Datsyuk, Ilya Kovalchuk e Vyacheslav Voynov).


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sabato 7 settembre 2019

Cos'è La Crisi Di Fame Nel Ciclismo? I Casi Più Clamorosi

C'è un vecchio detto del Ciclismo che dice "se aspetti che ti venga fame per mangiare, vai in crisi di sicuro".
Chi va in bici sa bene quanto sia importante bere e alimentarsi correttamente per non ritrovarsi senza energie proprio quando invece vorremmo aumentare lo sforzo.
Poca forza, gambe che girano a vuoto, testa pesante, nausea, freddo...la crisi di fame arriva all’improvviso, senza che possa essere prevista e provoca un malessere generalizzato che impedisce di portare a termine la fatica per via di una perenne debolezza (che svanisce dopo circa 1 ora di riposo).
Il nostro corpo contiene circa 300-400 g di glicogeno, il 70% del quale collocato nella muscolatura.
Un’attività fisica intensa provoca un consumo di ciò, che se non reintegrata con l’alimentazione porta alla crisi di fame. Il modo per prevenirla è assumere carboidrati ad alto indice glicemico, che stimolano la produzione di insulina; un buon metodo per prevenire l’esaurimento della riserva è comunque quello di distribuire regolarmente nei pasti una buona quantità di carboidrati complessi.
Un altro importante fattore che determina la crisi durante lo sforzo è la disidratazione causata dall’intensa sudorazione, che determina tra gli altri effetti una sensibile riduzione della capacità di resistenza.

Davide Cassani: "Arnaldo Pambianco scende dal muraglione, pioveva, era brutto tempo si accorge che Jacques Anquetil si stava mangiando un panino con la carta, allora ha pensato qui c'è qualcosa che non va secondo me è in crisi"

Poi Pambianco staccherà il francese effettivamente in crisi e vincerà il giro d'Italia del 1971.
Una delle più grandi crisi di fame che si ricordano negli ultimi 20 anni fu sicuramente quella di Jan Ullrich al Tour De France 1998.
Era il 27 luglio e precisamente l'85esima edizione de La Grande Boucle, 15a tappa Grenoble - Les Deux Alpes​, 189 km.
Ullrich guidava la generale con 3’01’’ di vantaggio su Pantani (quarto).
Il Tour era ormai chiuso perchè oltre al distacco in classifica, alla penultima tappa c'era anche una cronometro di 52 km.
Quel giorno si affrontavano Col de la Croix de Fer, Col du Télégraphe, Col du Galibier e Les Deux Alpes. Pioggia, vento e freddo​. Temperatura massima prevista di 12°C ed elicotteri rimasti a terra per la scarsa visibilità.
All’inizio del Galibier, Ullrich tenta uno scatto per dare una prova di forza ma il gruppo rimane lì.
A 47 km dal traguardo, a 4 km dalla cima del Galibier​, sul tratto più duro scatta Pantani. Si volta e rallenta una sola volta per controllare la reazione di chi insegue.
Ullrich rimane solo, spiazzato, indeciso sul da farsi.
In vetta, il distacco tra i due è già di 2’46”.
Prima della discesa Pantani si ferma per indossare la mantellina e poi va giù in picchiata. Giunto ai piedi de Les Deux Alpes, riprende la sua azione incontenibile​. Si alza per l’ennesima volta sui pedali e aggredisce la strada. Intanto Ullrich è in una crisi di fame paurosa.
Sguardo fisso nel vuoto e bocca spalancata.
A nulla servono gli aiuti anche di qualche compagno di squadra.
A 4 km dal traguardo Pantani ha 4’45’’ su Bobby Julich e 6’10’’ su Ullrich.
Il tedesco continuerà a crollare, arrivando a quasi 9 minuti di distacco.
Pantani vincerà il Tour De France 1998 (anche se poi in anni recenti, a seguito di un'inchiesta del Senato Francese che associò campioni di sangue ed urine anonimi al codice dei corridori, si scoprirà che in realtà era risultato positivo all'EPO diverse volte, stesso discorso Ullrich ma questa è tutta un'altra storia. Anzi, sta solo a sottolineare che la crisi di fame non risparmia nessuno...anche facendo uso di sostanze dopanti).
Un'altra crisi di fame pazzesca fu quella di Floyd Landis al Tour De France 2006.
In maglia gialla con 10" di vantaggio su Óscar Pereiro, lo statunitense accusò un crollo nella sedicesima tappa, da Bourg d'Oisans a La Toussuire, terminando a 8'10" dallo spagnolo.
Landis si staccò dal gruppo per poi letteralmente piantarsi in salita scuro in volto, lo si vedeva bagnarsi il capo con l'acqua ma ormai era troppo tardi: il Tour era andato.
Tuttavia la sera, a cena (testimonianza del gregario Nicolas Jalabert), aveva preannunciato l'attacco da lontano: "Male che vada mi danno altri 20', però devo provarci".
Effettivamente il giorno successivo, attaccò sulla prima salita (le Saisies), 125 km di fuga prima con altri, poi da solo, una tardiva reazione degli altri favoriti, un ritorno in alta classifica.
Landis s'involò in una fuga solitaria verso Morzine-Avoriaz, vincendo con 7'08" sul rivale Pereiro (che concluse la tappa in settima posizione).
Il suo distacco in classifica generale dallo spagnolo scese a 30".
A due giorni dalla fine del Tour, nella crono finale, Landis infligge distacchi pesantissimi a tutti conquistando il Tour: Pereiro arriverà secondo a 57" e il tedesco Andreas Klöden terzo a 1'29".
Il 26 luglio, a pochi giorni dalla chiusura del Tour, il quotidiano Ekstra Bladet e l'anti-doping francese annunciarono che un corridore di alta classifica era stato trovato positivo a un controllo delle urine nella tappa di Morzine. Il giorno successivo fu la Phonak ad annunciare che il corridore in questione era Landis e che le sostanze proibite da lui assunte erano il testosterone e l'epitestosterone.
Landis, appresa la notizia, comunicò di aver preso le sostanze per i suoi problemi alla tiroide.
Il 5 agosto l'UCI rese noto che anche il secondo campione di urine dell'americano era positivo al testosterone; la maglia gialla gli fu revocata e la vittoria del Tour 2006 fu assegnata a Pereiro.
Come curiosità, adesso Landis si è messo a produrre e vendere marijuana e derivati della cannabis.
Per uso terapeutico. La sua Floyd’s Of Leadville è una realtà nel mondo della canapa.
Nel suo Colorado, del resto, la produzione e il commercio delle droghe leggere sono perfettamente legali. Landis si è messo in affari con un altro ex corridore, David Zabriskie (altro ex gregario di Lance Armstrong, come Landis del resto).
Coltivano e vendono, e l’affare ha preso piede: producono anche magliette e cappellini, wellness and energy "perché esistono dolori fisici e dolori psicologici, la Marijuana li cura entrambi e non ha controindicazioni. Dopo quel Tour e la mia successiva squalifica, sono caduto in uno stato di profonda depressione, ho iniziato ad assumere cannabis e ho iniziato a stare meglio. Floyd’s Of Leadville è il risultato del mio lungo viaggio tra il dolore e la depressione verso una vita migliore".


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lunedì 2 settembre 2019

La Tattica Di Neil Warnock: Paterson Da Difensore Ad Attaccante

Nato a Sheffield nel 1948, Neil Warnock è sempre passato come un manager forse un po' antiquato (per via dell'età) e da "long ball".
La sua prima squadra da allenatore fu il Gainsborough Trinity (1980-1981) di Non League, successivamente avrebbe guidato il Burton Albion (1981-1986) e lo Scarborough (1986-1989), portato in Football League nel 1987.
Poi gestì il Notts County (1989-1993), conducendoli dalla Terza Divisione alla Prima Divisione nelle stagioni successive, anche se fu licenziato dopo che il club fu retrocesso la stagione prima che la Prima Divisione diventasse Premier League.
Dopo un breve periodo a Torquay United (1993), si trasferì all' Huddersfield Town (1993-1995), con i quali venne promosso nella nuova Prima Divisione.
Quindi si dimise e si unì al Plymouth Argyle (1995-1997), conducendoli alla Seconda Divisione. Dopo essere stato licenziato, passò all' Oldham Athletic (1997-1998) e Bury (1998-1999).
Nel 1999, Warnock guidò lo Sheffield United, portandoli alle semifinali di League Cup e FA Cup nel 2003 e alla promozione in Premier League nel 2006 (una delle cose per cui si fece notare è per avere abbassato il tetto salariale del club).

Warnock (in un'intervista del 2003): "Se dovessi controllare gli stipendi e budget di tutti i club di Premier League, penso che saremmo tra i cinque inferiori. Sono ancora accusato di essere un manager da long ball. Era vero una volta perché devi adattarti alle tue circostanze; i miei giocatori del Notts County erano abituati a giocare così, quindi non puoi farli iniziare a passare la palla. Come manager, che si tratti della Sunday League o della Premier League, giochi in base ai giocatori che possiedi"

Tuttavia, si dimise nel 2007 dopo la retrocessione del club. Successivamente subentrò al Crystal Palace (2007-2010), salvando il club dalla retrocessione in League One. Quando il club entrò in amministrazione, si accasò al Queens Park Rangers (2010-2012), venendo promosso in Premier League nel 2011. Fu licenziato con il club in posizione precaria di classifica unendosi al Leeds United (2012-2013). Dopo essere stato licenziato da Leeds a seguito di brutti risultati, rimase senza club per quasi 15 mesi fino al suo ritorno al Crystal Palace, quindi in Premier League, nell'agosto 2014.
Nel dicembre 2014, venne licenziato dal Crystal Palace dopo un inizio brutto di stagione che vide il club in piena zona retrocessione.
Dopo un mese al Queens Park Rangers, Warnock tornò al Rotherham United come manager nel febbraio 2016 salvandolo dalla retrocessione, per poi essere nominato come manager del Cardiff City nell'ottobre 2016 portandoli dal fondo della classifica (quando ereditò la squadra) alla Premier League durante la stagione 2017/18 (senza spendere quasi niente o comunque con fondi modesti rispetto alle altre big tipo Aston Villa, Middlesbrough, Sheffield Wednesday e Wolves).
Fu il primo manager in Inghilterra ad ottenere 8 promozioni tra i professionisti.
Nella stagione della promozione si fece notare per alcune innovazioni tattiche o di cambio di uomini.

Il vice CT del Galles, Osian Roberts (in un'intervista del 2018): "Non è un uomo da 4-4-2 che si presenta ogni settimana così quindi sai già cosa otterrai da un punto di vista tattico. Lo fa da un punto di vista fisico e competitivo ma, da un punto di vista tattico, ci sono stati molti e importanti adattamenti che sono stati particolarmente interessanti"

Roberts evidenzia la vittoria in trasferta del Cardiff contro il Middlesbrough in ottobre come una partita che ha dimostrato le idee tattiche di Warnock.

Poi aggiunge commentando una sua foto: "Ciò non lo troverai in nessun libro di coaching e, se lo vedessi, diresti 'Che diavolo sta succedendo lì? Ma per molti versi è un genio tattico"
Joe Bennett (cerchiato, in alto) e Lee Peltier (cerchiato, in basso) in posizioni anomale.

"Il Middlesbrough stava giocando con un 4-4-2 con i loro due uomini larghi che si accentrano e i loro due terzini che spingono in avanti, praticamente come ali. Contro questo, il Cardiff ha schierato un 5-4-1 con 3 centrali Sean Morrison, Sol Bamba e Bruno Ecuele Manga.
Le due ali, Junior Hoilett e Nathaniel Mendez-Laing, sono più arretrati marcando gli esterni del Middlesbrough.
I due terzini, Joe Bennett e Lee Peltier, sono nelle due posizioni centrali di centrocampo, e i due centrocampisti di possesso, Joe Ralls e Craig Bryson, sono spinti in avanti.
Non solo, Peltier è il terzino destro ma è a sinistra e Bennett è andato con il suo uomo dall'altra parte alla destra del centrocampo.
Se lo avesse fatto Guardiola, tutti direbbero" Che genio tattico "ma, dato che è Neil Warnock, probabilmente nessuno se n'è accorto.
Questo nuovo approccio è tipico della varietà tattica di Cardiff in questa stagione, con Warnock che cambia regolarmente formazione e ruota i suoi giocatori per tenerli in punta di piedi.
Si è adattato nel tempo. Altrimenti non sarebbe in grado di gestire giocatori moderni.
Non è una cosa facile da raggiungere: molti hanno fallito"

Quest'arte della gestione dell'uomo, come afferma Roberts, potrebbe essere l'attributo più prezioso di Warnock.
Tuttavia anche la capacità di Warnock di migliorare i giocatori a sua disposizione è stata altrettanto significativa.
Sotto la sua guida, ad esempio, Sean Morrison si è evoluto da difensore centrale segnando anche 7 reti in stagione.
Il miglioramento più sorprendente fu quello dell'attaccante Kenneth Zohore, lavorando con lui instancabilmente per migliorare la sua forma fisica e la sua fiducia riuscì a segnare 13 gol tra gennaio e maggio del 2017.

Gabbidon: "Lo spirito di squadra, la determinazione e il ritmo di lavoro che Neil Warnock ha instillato in questa squadra è stata la chiave di tutto.
Quando sono entrato nello spogliatoio non c'era proprio quel tipo di atmosfera per ottenere la promozione. Non pensavi che fosse necessario avere uno spirito di squadra. Penso che sia la cosa più grande che abbia fatto.
Quando si tratta della gestione dei giocatori, è tra i migliori. Direi che è la sua più grande forza.
Non fraintendermi. Sa essere spietato, quindi se non stai facendo il lavoro che ti chiede, ti farà sicuramente sapere ciò in modo brusco.
Ma come giocatore è quello che vuoi dal tuo manager. Vuoi quel tipo di onestà"

Comunque a seguito della promozione e dopo un inizio deludente di stagione in Premier, 2 punti nelle prime 8 partite, il settantenne portò Aron Gunnarsson nell'XI titolare come centrocampista di raccordo tra difesa ed attacco.
Ma la vera intuizione fu nel convertire Callum Paterson, un difensore (o comunque centrocampista difensivo), in un attaccante centrale.
I risultati cambiarono di colpo.
Dopo aver guadagnato solo 1 punto in 4 partite al Cardiff City Stadium vinsero 4 delle ultime 5 partite lì.
Il passaggio di Paterson al ruolo di centravanti fu un colpo da maestro.
Il 24enne impressionò per le sue doti combattive ma anche per le sue doti realizzative.
Da sempre, in passato, aveva giocato come terzino destro (agli Hearts) ma Warnock lo aveva schierato soprattutto come centrocampista (realizzando comunque 10 reti in Championship in 31 presenze).

Warnock (in un'intervista del 2018): "Lo vorrei con me in trincea, ogni giorno"

Paterson ad un certo punto della stagione era diventata la punta di diamante dell'attacco di Cardiff, in un 4-1-4-1 modificato.
Ma in realtà, è stato schierato anche in altri moduli come questo con il Wolverhampton:
Segnò contro Fulham, Liverpool, Brighton & Hove Albion e Southampton ma le sue doti di far salire la squadra colpirono ancora di più.
Il potente scozzese, ad un certo punto della stagione, nell'aria avversaria non era secondo a nessuno come duelli aerei vinti.
Ma al di là di ciò il Cardiff migliorò la sua produzione offensiva (goal, tiri realizzati, media punti diminuendo i tiri concessi). 
Warnock è sempre stato noto anche per essere un manager che cerca di ottenere il massimo dai giocatori che ha spendendo pochissimo sul mercato.
Gallesi che comunque a fine anno retrocederanno, malgrado un finale di stagione molto combattivo (arrivando a 2 punti dalla salvezza).



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