Jim Clark nacque nel Fife (Scozia) il 4 marzo del 1936.
Cresce in una famiglia di agricoltori e forse per questo il suo carattere rimarrà sempre umile e semplice. Persino all’apice della fama, Jim continuerà a schernirsi e a preferire le sue contee e la vecchia amata fattoria per correre e vivere in tranquillità.
Si affaccia in Formula 1 nel 1960 dove, senza troppi giri di parole, disse: «Sgommare e andare a tutta birra per me è la cosa più naturale che ci sia; non c’è niente che mi renda più felice…».
Parliamo di uno dei più grandi piloti di tutti i tempi, sia in riferimento alla Formula 1 sia per le competizioni motoristiche in generale.
Un campione completo, dallo stile geniale e da una pulizia di guida innata.
Un pilota capace di migliorarsi anno dopo anno fino a raggiungere la perfezione.
A quelli che gli chiedevano da dove nascesse tanta passione Jim Clark amava dire:
«Spesso mi sento come un poeta: il mio ruolo non è quello di stare ai margini, defilato o estraniato dalla vita. Quando mi danno una macchina e accendo il motore mi sento un leone. Ho poco tempo per guardare e per pensare; devo correre, scappare e arrivare primo al traguardo. E devo stare attento a non sbagliare mai. Il mio ruolo dipende da come sei e dal coraggio che hai…».
LA CARRIERA IN FORMULA 1 CON LA LOTUS
Nel 1960 nasce uno dei binomi più affiatati e vincenti, quello fra lo stesso Clark e la storica scuderia Lotus di Colin Chapman.
Quest’ultimo lo ha scoperto giusto un anno prima, nel 1959, quando lo sconosciutissimo Jim guidava vetture di secondo piano, come le Jaguar D Type.
La combinazione micidiale Clark-Lotus segna l’intera carriera dello scozzese: una miscela fra potenza della macchina e abilità tecnica del pilota, la coppia prende il volo e arriva per la prima volta al successo nel circuito di Spa-Francorchamps il 17 giugno del 1962 nel Gran Premio del Belgio.
I DUE TITOLI MONDIALI: 1963 E 1965
Arriva poi l’ormai celebre 1963 e il grande Jim mette dietro i principali avversari facendo letteralmente saltare il banco.
La Lotus 25 dello “Scozzese Volante” si aggiudica ben sette delle dieci gare previste dal calendario di Formula 1.
Vince di conseguenza il titolo mondiale grazie ai 54 punti in classifica.
Staccati nettamente tutti i suoi principali avversari, a cominciare dall’ex iridato Graham Hill e da Richie Ginther: sia il britannico che lo statunitense si fermano appaiati a 29 punti, dimostrando coi numeri l’enorme divario accumulato in pista.
L’altra stagione da mettere in cornice è quella del 1965, con il secondo titolo mondiale (sei vittorie: Sud Africa, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Olanda e Germania) che porta con sé delle particolari coincidenze: anche stavolta al secondo posto della classifica finale c’è il rivale Hill (al terzo posto si piazza Jackie Stewart, un altro britannico che presto diventerà famoso) e, curiosamente, i punti finali dell’inossidabile Jim sono ancora 54, proprio come due anni prima.
Nello stesso anno vince la 500 Miglia di Indianapolis.
Nel 1966 la Lotus è per nulla competitiva, anche a causa del nuovo regolamento che impone un motore da tremila centimetri cubici di cilindrata.
Jim Clark, cosa che accadrà pure negli anni successivi, usa nel corso di una stagione diversi tipi di vetture e di motore: nel 1967 parte ad esempio col Coventry Climax da due litri, per poi passare nelle ultime gare a un complicato motore BRM H16.
Nel 1967 il titolo mondiale finisce nelle mani di Denny Hulme ma Clark (terzo nella classifica finale) resta sempre il punto di riferimento principale sia per classe che per carisma.
Qui viene ricordato per la leggendaria vittoria in Messico, quando arriva sul traguardo (vincendo) con 3 ruote, avendone persa una nell'ultimo giro.
L'INCIDENTE MORTALE IN GERMANIA: 1968
Il 1968 inizia alla grande con una vittoria nel primo Gran Premio in programma, disputatosi a Kyalami, in Sud Africa.
Dopo una corsa disputata in Spagna, agli inizi di aprile il pilota britannico vola quindi in Germania, ad Hockenheim, da dove non sarebbe più tornato vivo.
All’inizio del quinto giro avviene infatti la tragedia: Jim perde improvvisamente il controllo della sua Lotus quasi al termine del rettilineo del traguardo, mentre sta impostando la prima curva a destra.
Dopo un paio di disperati tentativi di recuperare il giusto assetto, alla fine il pilota scozzese non riesce più a controllare la sua auto che si dirige a circa 240 Km/h verso l’esterno della curva, in direzione di alcuni alberi non coperti da protezioni.
L’impatto è violentissimo e la scocca della vettura si spezza in due.
Per Clark, che dopo un tremendo volo sbatte col casco in un ramo a circa cinque metri di altezza da terra, non c’è niente da fare.
Quando arrivano i soccorsi il cuore batte ancora ma Clark è clinicamente morto.
A causare l’incidente la probabile foratura della gomma posteriore destra.
È il 7 aprile 1968.
La sua morte è un colpo durissimo da digerire per tutto lo sport.
Jim Clark, infatti, era un vero fuoriclasse: ancora oggi sono in tanti a considerarlo il miglior pilota di sempre.
In 72 Gran Premi disputati vanta infatti cifre importantissime: oltre ai due titoli mondiali, ci sono le 25 vittorie in Formula 1 (sesto nella classifica di tutti i tempi), 32 podi, 33 pole position (terzo di sempre) e 28 giri più veloci (quinto nella storia).
MA COSA SUCCESSE ESATTAMENTE?
Come detto le cause dell'incidente di Clark furono storicamente attribuite a una foratura lenta alla gomma posteriore destra al 4° giro che avrebbe provocato il cedimento improvviso dello pneumatico la tornata successiva rendendo così inguidabile la sua monoposto in uno dei punti più veloci del circuito di Hockenheim.
Nessun testimone assistette alla scena, nessuno che potesse avvalorare una tale ipotesi, Colin Chapman ne uscì devastato e simulò più volte le conseguenze di una foratura lenta in una pista come quella di Hockenheim, per darsene una ragione, ma un altro interessante punto di vista emerge da una dichiarazione di Derk Bell.
Il pilota inglese nella sua biografia afferma che le cause dell'incidente potrebbero essere state legate ad un malfunzionamento del motore della sua Lotus evidenziatosi anche nelle prove e di cui sentì parlare Clark con la propria squadra, il quale dava segni di spegnimento improvviso senza nessun preavviso.
Secondo Bell l'umidità e la pioggia avrebbero accentuato il difetto all'accensione o cos'altro e il povero Jim si sarebbe trovato nei curvoni superveloci del tracciato tedesco di punto in bianco con una macchina senza trazione e su asfalto fradicio.
Una condizione limite a cui nemmeno il suo immenso talento avrebbe potuto rimediare.
"Era davanti a me" raccontò Chris Amon "settimo o ottavo posto. Non guadagnava terreno, sebbene io andassi piano."
"Era ottavo, dopo quattro giri" confermò Eric Dymock, il giornalista suo amico.
"Sul bagnato le Firestone da pioggia erano inutili" disse Amon che le usava quel giorno.
"Entrò nella successiva curva a destra, forse un po’ troppo veloce" raccontò un commissario.
"…circa 200 Km/h" racconta Heinz Pruller, il giornalista tedesco che era presente.
"…almeno 220 Km/h" afferma David Tremayne, un altro giornalista, irlandese.
"…oltre 250 Km/h" ribatte ancora Eric Dymock, che sarebbe diventato il suo biografo.
La difficile valutazione della verità da parte della stampa.
"Quella curva era lunga e sulla destra, piuttosto dolce e larga, la si poteva percorrere appaiati a 240 Km/h, anche sulla pioggia" è il parere di Derek Bell, 5 volte vincitore a Le Mans e quel giorno quarto nella prima manche guidando per Frank Williams.
Una curva facile.
"I grandi piloti muoiono nelle curve facili".
"C’erano pozze dappertutto" racconta Chris Amon.
"Al via della prima manche non pioveva. Era piovuto prima, sarebbe ricominciato a piovere dopo, ma al via della prima manche no, non pioveva" questo dichiarò dopo la gara l’inglese Piers Courage, terzo assoluto e quinto in quella prima fatale manche.
"Alla prima curva non si vedeva nulla, assolutamente. C’era ‘water-spray’ ovunque, si vedevano solo, in alto, le cime degli alberi e l’unica cosa che si poteva fare era curvare seguendole, senza vedere dove mettevi le ruote. Rallentai molto, ma sorprendentemente nessuno mi sorpassò" è il ricordo di Max Mosley.
"La visibilità era sufficiente, abbiamo corso in condizioni molto peggiori" ancora Courage.
"Davanti si vedeva abbastanza, ma dietro non doveva essere facile" Henri Pescarolo, secondo.
"Un muro d’acqua, c’era un muro d’acqua. Impossibile vedere qualcosa" Chris Irwin, settimo.
Difficile ricostruire l’incidente e ipotizzarne la causa.
"L’auto si mise di traverso, non cambiò mai direzione, sfondò la recinzione a bordo pista e si schiantò contro un albero dividendosi in due all’altezza dell’abitacolo".
"Tutto accadde all’improvviso, in una frazione di secondo. La macchina rossa e oro sembrò cambiare direzione, puntandomi addosso. Mi veniva diritta addosso. Scivolando sfondò la recinzione a meno di dieci metri da dove mi trovavo, poi urtò contro l’albero con un rumore che non dimenticherò mai più. Sembrò finire in mille pezzi" raccontò un commissario di gara, unico testimone oculare dal bordo della pista.
"La carcassa della Lotus era ridotta così male che non era possibile nessuna valutazione oggettiva sulle cause dell’incidente" ricorda Nick Georgano, storico dell’automobile.
Chapman sostenne da subito la tesi del cedimento di uno pneumatico.
"Un’improvviso afflosciamento della gomma posteriore destra, gli fece perdere il controllo" afferma David Sims il meccanico di Jim Clark.
"La causa più plausibile per spiegare l’incidente è la foratura della ruota posteriore sinistra…" scrisse Tony Dodgins sul Daily Telegraph.
"…la più probabile spiegazione di questo inspiegabile incidente, è l’esplosione di una gomma…" è la certezza di Eric Dymock.
"… una foratura provocò il progressivo afflosciamento di uno pneumatico, che in curva uscì dal cerchione bloccando la ruota e rendendo impossibile controllare la macchina…" Tremayne se lo è spiegato così.
"La causa dell’incidente in cui perse la vita Jim Clark fu la rottura della sospensione posteriore destra. Alla Lotus era un problema comune, per lo stesso problema era morto sei anni prima Ricardo Rodriguez. La Firestone accettò di prendere la colpa per fare un favore alla Lotus e a Colin Chapman" avrebbe dichiarato molti anni dopo Fred Gamble, all’epoca Direttore del settore sportivo della Goodyear.
Goodyear, la casa rivale della Firestone.
Gomma destra, forse sinistra, velocità 200 Km/h, no 250 Km/h, esplosione, rottura di una sospensione, ma altri parlarono di un bambino che sfuggito ai genitori aveva attraversato la pista, di un colpo di vento laterale, di un cervo che si sarebbe parato davanti e che nessun altro avrebbe visto.
Dopo cinquant'anni d’ipotesi e di misteri, nessuna certezza.
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