Chi l'avrebbe mai detto che un palazzetto di Hockey sarebbe stato costruito in un deserto?
Più precisamente nella zona arida del Nevada.
Ricordiamoci che qui (e in California) ha sede la Death Valley.
Le piogge sono rarissime (dunque non ci sono fiumi) e le temperature da maggio a settembre sono di circa 45° di media (con punte oltre i 50°).
E' vero d'inverno le temperature sono quasi "godibili" (sui 30°) ma insomma siamo pur sempre nel deserto.
Al di fuori della Death Valley e rimanendo nel Nevada le temperature variano da 52° a -46° in inverno.
101 anni fa, i fondatori della NHL non avrebbero mai potuto immaginare che la loro lega “ghiacciata” sarebbe un giorno arrivata a mettere radici nel deserto.
E' vero c'era già stata l’espansione a sud, con Texas, California e Florida ma i Vegas Golden Knights diventando la 31.ma franchigia del campionato (Pacific Division della Western Conference) hanno battuto tutti i record.
C’era molta curiosità attorno a questa squadra, non solo per vederla all’opera sul ghiaccio ma anche per scoprire il tipo di risposta del pubblico.
I Golden Knights hanno risposto presente qualificandosi ai playoff e con un pubblico sempre caldissimo (siamo nel deserto, del resto).
Diciamo che la stagione nel Nevada non era iniziata sotto i migliori auspici, non tanto per i risultati sportivi, quanto per quello che successe l'1 ottobre 2017, quando Stephen Paddock, un uomo bianco di 64 anni, sparò sulla folla di un concerto di musica country dal 32° piano di un hotel uccidendo 58 persone.
Dopo gli spari sugli spettatori, Las Vegas si è riscoperta quella che non è più da molto tempo: Sin City, la città del peccato.
Secondo i dati di Applied Analysis, un’azienda locale che si occupa di ricerche di mercato, i ricavi dei casinò lungo la Strip rappresentano solo il 34% delle entrate totali.
Le slot machine sono calate: dalle 213mila del 2000 alle circa 165mila di oggi.
Las Vegas non aveva mai avuto squadre professionistiche per vari motivi: non era una città abbastanza grande (ora è la 30esima degli Stati Uniti, più grossa di altre 12 che invece di franchigie ne hanno da tempo), i suoi abitanti hanno un fuso orario a parte (eufenismo ma il discorso è quello), lavorando specialmente di sera e nel weekend e, soprattutto, in Nevada sono legali le scommesse sportive.
Troppe tentazioni, troppo alcool, troppi imbroglioni.
Per decenni l’America è rimasta scottata dal “Black Sox Scandal” l’accusa a otto giocatori dei Chicago White Sox (poi bannati a vita) di essersi venduti le World Series 1919, in cambio di soldi.
Per questi motivi nessuno vedeva di buon occhio una franchigia trapiantata a Las Vegas (negli USA le scommesse sono illegali in 46 stati su 50!).
Poi qualcosa è cambiato.
Sotto certi versi, i Golden Knights hanno stravolto la NHL, dalla scelta dei colori sociali (grigio e oro, contro ogni tradizione) ai record (51 vittorie e 109 punti in regular season, mai un “expansion team” era andato così bene), passando per un utilizzo estremamente innovativo e divertente dei social media.
La T-Mobile Arena (18 mila posti) è stato il quarto palazzetto del campionato per % di riempimento davanti a luoghi sacri come Toronto, Boston, New York e Pittsburgh (tutte squadre qualificate ai playoff, meno i NY Rangers, reduci da una stagione disastrosa).
James Neal ha catturato le luci dei riflettori nella prima parte della stagione, poi son saliti in cattedra i vari Alex Tuch, David Perron, William Karlsson.
Marc Andre Fleury è forse stata la carta vincente della franchigia, coadiuvato ovviamente da Jonathan Marchesseault.
Senza dimenticare coach Gerard Gallant.
Anaheim Ducks, San Jose Sharks e Los Angeles Kings si sono dovute fare da parte: troppo forti i Vegas Golden Knights.
Troppo forte una squadra che ha chiuso con il secondo miglior attacco ad est (migliore del Pacifico) e che avrebbe chiuso (molto probabilmente) anche con la miglior difesa, se non fosse stato per i tanti infortuni che hanno afflitto il roster nella seconda parte di stagione.
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