L’NCAA (National Collegiate Athletic Association) è l’organizzazione sportiva che raggruppa oltre mille istituti statunitensi tra college e università.
Essa gestisce competizioni degli sport americani più popolari ed ha un enorme seguito di pubblico: tutti i più grandi atleti statunitensi iniziano la loro carriera con lo sport dei college.
IL PERIODO STORICO
E’ un periodo di grande fermento sociale negli Stati Uniti che erano ancora pervasi da forti divisioni razziali.
Il Texas è uno degli stati più razzisti d’America, repubblicano fin nel midollo, con pena di morte autorizzata e matrimoni gay vietati.
Prima degli anni’60 il basket era roba da bianchi, più intelligenti e quindi capaci di giocare in maniera fluida, rispettando gli schemi; i neri erano solo casinisti, nulla più.
All’epoca, gli allenatori seguivano un diktat ufficioso che consigliava di far giocare “un nero in casa, due fuori, tre se la partita è ormai compromessa”.
Alla fine del 1800 in diversi stati della confederazione erano entrate in vigore leggi sulla segregazione razziale delle persone di colore e proprio negli anni 60 del secolo scorso queste leggi furono abolite dal governo federale a seguito del forte impegno di numerosi movimenti per i diritti civili e grazie anche all’azione di personaggi come Martin Luther King.
EL PASO E CIUDAD
Texas Western è un'università sita ad El Paso, appunto Texas.
Centro America.
Lì vicino, in Messico, sorge la città piu’ pericolosa del mondo: Ciudad Juarez.
La città si trova a nord del Messico a 1000 metri sul livello del mare proprio a ridosso del confine con gli Stati Uniti e come detto di fronte ad El Paso.
Unite in un unico agglomerato urbano, ma separate dal confine di Stato, queste città raggruppano oltre 2 milioni e mezzo di abitanti.
Juarez, sorge sulle rive del Rio Grande e con i suoi 1.200.000 abitanti ha il triste primato di città più pericolosa del mondo, infatti nel 2011 ci sono stati 2086 omicidi , ma l’anno prima ce ne furono addirittura 3042, il che vuol dire una media di circa 8 omicidi al giorno.
Le cause maggiori di questa inaudita concentrazione di criminalità sono da attribuire alla guerra per il narcotraffico tra i vari cartelli della droga per la posizione super strategica della città a ridosso del paese con piu’ consumatori.
Sul territorio sono presenti circa un migliaio di bande armate con decine di migliaia di affiliati tra cui molti appartenenti a bande messicane espulsi dagli Stati Uniti.
Entrambe le città sono attraversate dal deserto del Chihuahua(secondo più grande d'America).
Tocca a questa fluida barriera lunga più di 1500 chilometri il compito di contenere il flusso migratorio illegale verso gli States.
Sui tre ponti che agganciano Ciudad Juarez a El Paso vi transitano automobili e pachidermici camion rimorchio a 18 ruote, carichi di ogni tipo di merce.
Animali morti sull'asfalto, macchine abbandonate(e depredate), nessun cartellone pubblicitario e cartelli che nei pressi di Sierra Blanca recitano "Non raccogliete autostoppisti: potrebbero essere evasi dal carcere".
La prospettiva di una Ciudad Juarez - El Paso saldate insieme in un unicum cosmopolitano non e' concepibile neanche in termini onirici, tanto la realta' la respinge: e infatti, nonostante le buone intenzioni e l'impegno, da parte dei presidenti di Stati Uniti e Messico, a garantire per il XXI secolo la pacifica convivenza delle due comunità di confine, non si vede come possano scomparire a breve scadenza le compatte minacciose strutture di contenimento messe in piedi da Washington anni fa.
Sulla riva americana del fiume, lo sbarramento e' assicurato da tre reti metalliche che corrono parallele per qualche chilometro e sopra di esse sono piazzati grappoli di riflettori che al crepuscolo si accendono dotando la notte di un perenne splendore lunare: le auto bianche della Migra (la polizia di frontiera, cosi' chiamata, con una contrazione, dai messicani) vanno avanti e indietro per 24 ore.
Ogni tanto, quando il fiume si gonfia, nella stagione delle piogge, qualcuno si tuffa: ma e' soltanto un gesto di sfida, una goliardata inutile.
Chi per davvero l'ha tentato, ci ha rimesso le penne.
Una scritta, sulla spalletta di cemento del Rio Grande, ricorda l'immolazione di Tarin, ucciso il 9 maggio del '91, mentre aveva gia' un piede sulla sponda "giusta": "Riposa in pace, querido amigo, ti ricorderemo sempre. I tuoi compagni del Puente Negro y tu madrecita".
TEXAS WESTERN COLLEGE
In questo contesto non facile(parlo in primis della segregazione razziale) la squadra del Texas Western College partecipò al campionato universitario nazionale con ben 7 giocatori di colore nella rosa quando la media di allora era uno o due afroamericani per squadra.
Don Haskins era originario di uno stato confinante col Texas, l’Oklahoma, dove i bianchi come lui avevano colonizzato il ricco territorio e ne avevano preso in mano il controllo.
Il suo passato da giocatore non era stato esaltante, ma per il suo futuro di allenatore aveva sicuramente appreso molto da Hank Iba, il coach che avrebbe poi guidato la rappresentativa USA e che sarebbe stato ricordato più per l’argento rimediato dopo la sconfitta con l’URSS alle Olimpiadi di Monaco ’72 che per le due medaglie d’oro conquistate nelle precedenti edizioni di Tokyo ’64 e Città del Messico ’68.
Insegnava basket alla squadra femminile del liceo, quando gli giunse una chiamata dagli universitari dei Texas Western Miners, squadra ormai allo sfacelo, in preda a una grave crisi economica e di risultati: non era un’offerta, ma una invocazione di aiuto.
Accettò ovviamente.
Le sue qualità vennero subito a galla.
Era duro ed esigente negli allenamenti (e per questo venne soprannominato «The Bear», l’orso), amava il gioco veloce e le penetrazioni a canestro, voleva con lui solo giocatori motivati e disposti a sacrificarsi.
E soprattutto, aveva una voglia matta di vincere!
Si rese subito conto che con i giocatori bianchi che gli avevano messo in mano non avrebbe ricavato granché.
Così volle rischiare in prima persona.
Cominciò a girare alla ricerca di alternative valide, arrivarono a sette i coloured, lasciando in minoranza (cinque) gli autoctoni dalla pelle chiara.
Era una squadra tutta da costruire e da amalgamare, ma Haskins credeva nel suo lavoro e nelle sue ambizioni, e i risultati non tardarono ad arrivare.
Già questa scelta fece molto scalpore ma ciò che maggiormente sorprese fu l’avvio perentorio del torneo: i Texas Miners, come venivano chiamati i giocatori di quel college, vinsero le prime 23 partite.
La squadra, che non era certo indicata tra le favorite per la vittoria finale, giunse alla conclusione della stagione regolare con una serie di ben 23 vittorie e una sola sconfitta per soli due punti, l’ultima partita a Seattle ormai ininfluente.
LA FINALE CONTRO KENTUCKY
I Miners giunsero così alle fasi finali: cinque vittorie consecutive compresa naturalmente la finalissima contro la più titolata Kentucky.
Ancora oggi questo risultato viene considerato la più grande sorpresa nella storia del basket americano.
Ma non fu solo il risultato a entrare nella storia del basket.
Ciò che fece maggior scalpore fu il quintetto con il quale l’allenatore Don Haskins (1930-2008) iniziò la partita finale contro la grande favorita Kentucky.
Per la prima volta in una partita di campionato USA scendevano in campo cinque giocatori di colore, tutta la squadra, non era mai successo.
La sera prima della partita più importante della NCAA e forse del basket americano in generale, Don non riesce a dormire, troppo alta la posta in palio.
In gioco non c’è più soltanto un titolo universitario ma una delle contraddizioni più profonde degli Stati Uniti, quel razzismo di fondo che ancora non ha abbandonato i nipoti di Abramo Lincoln.
Allora raduna intorno alla mezzanotte la squadra al completo e sulle gradinate dove il giorno dopo si giocherà la finale annuncia, con un discorso memorabile, che a giocare quella finale saranno soltanto i sette giocatori neri.
Un intero quintetto di neri in una partita ufficiale, per di più la finale NCAA.
Mai successo prima.
Prima di Abdul Jabbar e Magic Johnson.
Don Haskins gioca duro contro tutta l’America.
Apre la strada al futuro spazzando via pregiudizi già uccisi dal presente, rispedendoli nella storia, nel passato, in cui dovrebbero sempre far parte e dove purtroppo ancora oggi rischiano di non invecchiare.
I Miners avevano un modo di giocare rivoluzionario rispetto all’eleganza dei bianchi di quei tempi.
Veloci, dritti a canestro, agili e sempre alla ricerca del numero tanto in voga adesso.
Degli anticipatori di quello che la NBA è oggi.
Adesso immaginate la scena: un palazzetto pieno di ragazzi bianchi, qualcuno (i tifosi di Kentucky) con bandiere confederate, arbitri e allenatori bianchi, cheerleaders bianche, giornalisti per lo più bianchi.
E in mezzo al campo di fianco ai cinque giocatori bianchi di Kentucky, i cinque ragazzi neri di Texas Western che inconsapevolmente fanno la storia del basket universitario americano.
Kentucky era allenata dal leggendario Adolph Rupp, che restò alla guida della squadra per oltre 40 anni.
Tra i giocatori di Kentucky in quella mitica finale ci fu anche Pat Riley che in seguito sarebbe diventato uno dei più forti allenatori NBA di tutti i tempi capace di vincere ben cinque titoli in quello che viene considerato il campionato di basket più importante del mondo.
Don Haskins invece rimase per tutta la vita ad allenare la squadra dell’Università del Texas, la sua carriera si concluse nel 1999 con un record di 719 partite vinte e 353 perse.
I Miners dominarono l’incontro e si aggiudicarono il titolo nazionale con il risultato di 72-65.
In seguito l’allenatore minimizzò il suo gesto: “Davvero non pensai che stavo iniziando la partita con cinque ragazzi di colore, volevo solo mettere in campo i miei cinque giocatori migliori”
Tuttavia dopo di allora il basket Usa non fu più lo stesso.
L’intera squadra del Texas Western College fu inserita nella Basketball Hall Of Fame che è l’associazione americana che accoglie quei personaggi che hanno dato lustro alla pallacanestro nazionale.
Generalmente si tratta di giocatori ed allenatori che possono essere ammessi solo dopo 5 anni dal loro ritiro dalle competizioni.
Sono solo sette le squadre che hanno ricevuto questo riconoscimento nella storia del basket USA.
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