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martedì 19 dicembre 2017

Il "7 Seconds Or Less" Di Mike D'Antoni: Gioco Offensivo e Tiri Da 3

I Golden State Warriors, la squadra di Steve Kerr, è l’estremizzazione dello "Small Ball": nessun “5” puro ma tutti esterni, tiratori, passatori, velocisti, poi movimento continuo di uomini e palla, tagli e penetrazioni per creare superiorità numerica, scarichi per tirare da 3 come se piovesse.
Posizioni e ruoli flessibili quindi intercambiabili.
Lo stadio evolutivo odierno è passato anche dalla variazione delle regole di gioco: dai 24 secondi (1954) all’arrivo del tiro da tre nel 1979.
Agli inizi, gli allenatori lo consideravano un espediente a cui far ricorso solo in disperate situazioni di gara: allora si tentavano in media circa 3 tiri dall’arco a partita, oggi le squadre di Mike D’Antoni ne provano in media una 40ntina a partita.
Giocare in velocità non è mai stato una novità assoluta, ma è il tiro da tre che ha portato il Basket verso nuove frontiere.
Così tra gli anni ’80 e ’90 si fece strada il concetto di "Small Ball", di cui coach Don Nelson fu pioniere a Milwaukee, Golden State e Dallas.
Senza dimenticarci di Doug Moe a Denver, Paul Westphal a Phoenix e Dave Arseneault, visionario allenatore di una piccola università dell’Iowa, Grinnell College, che dal 1989 pratica un sistema di gioco dai ritmi forsennati e velocissimi.
Quintetto “piccolo” (4 esterni e 1 centro, rispetto al canonico 3-2), lunghi coinvolti nel tiro da tre, esterni alti.


7 SECONDS OR LESS DI MIKE D'ANTONI A PHOENIX
Il "7 Seconds Or Less" (cioè bisogna prendere un tiro entro 7 secondi dall'inizio del possesso) di Mike D'Antoni è un'estremizzazione del "Run&Gun Offence", applicato ai Phoenix Suns dal 2004 al 2008 ha fruttato il 65% di vittorie e due premi di Mvp a Steve Nash.
L'idea alla base è quella di non permettere agli avversari di schierarsi in difesa.
D’Antoni trasformò i Suns nella squadra più divertente d’America con una filosofia semplice: ogni buon tiro va preso, anche ad azione appena cominciata.
Essendo piccoli di statura bisogna correre di più, in ogni ruolo ci va il più veloce in quel ruolo.
Il quintetto era qualcosa di mai visto ai massimi livelli: Shawn Marion spostato da ala piccola a grande e Amar’e Stoudamire da ala grande a centro estremamente mobile.
Con Nash play e faro del gioco, in guardia e ala piccola Quentin Richardson e Joe Johnson erano pronti a ricevere gli scarichi del continuo pick and roll tra Nash e Stoudamire.
Insomma l'idea era di trasformare i punti deboli in punti di forza.
Secondo le statistiche, i tiri a più alta percentuale sono quelli al ferro e da tre: corri e tira.
Quindi nessun mid range (che vuol dire bassa produttività).
I Suns, seppur forti, non vinsero niente...e da lì si diffuse comunque l'opinione che fosse impossibile vincere senza un centro puro e senza la giusta attenzione alla difesa.
Lasciata Phoenix e dopo le scialbe esperienze a Knicks e Lakers, il coach italo-americano ha ritrovato in Texas condizioni e interpreti adatti a ricreare il suo Basket, diventato nel frattempo stile di successo in NBA grazie ai Warriors di Steve Kerr.
La rivoluzione di D’Antoni in Arizona non passò inosservata.
I Suns erano talvolta denigrati come evanescenti, incapaci di diventare qualcosa di serio.
Ma quello stile non era un fuoco di paglia o una sperimentazione fine a se stessa.
In seguito anche gli Orlando Magic, arrivati alle finali nel 2009, proposero un gioco basato su linee esterne.
Il 4-1 di Stan Van Gundy prevedeva un Dwight Howard come centro per catalizzare difensori e raddoppi, Jameer Nelson play, Hedo Turkoglu, Rashard Lewis e J.J. Redick spediti sull’arco.
In seguito il tiro da tre nei playoff 2016 è stato fondamentale per i Cleveland Cavaliers.
Gioco perimetrale, ruoli uniformi, spaziature e ritmi alti saranno sempre più presenti.
I lunghi tradizionali, al pari di quanto succedeva una volta con i tiratori puri, appaiono scalati al ruolo di specialisti, da utilizzare in particolari frangenti della partita, per produrre tanti punti in brevi intervalli, sfruttando le aree interne poco affollate.


IL RUN & GUN A HOUSTON
È il GM Daryl Morey (grande appassionato di statistiche avanzate) a volere D’Antoni ai Rockets, la squadra che oggi corre di più insieme ai Warriors.
D'Antoni a Houston ha subito allontanato Howard appena ha potuto, prendendo giocatori più congeniali al suo gioco.
Houston come si può facilmente immaginare è una squadra che in attacco rifiuta tiri dalla media distanza a meno che non sia costretta, prediligendo attaccare il ferro o tirare da tre: in questo modo i tiri presi sono quelli a più alta percentuale reale dal campo.
Oltre 110 di punti in media a partita ed oltre 100 possessi.
L'idea è di adattare il “7 Second Or Less” di Phoenix al "Run & Gun" di Harden, a quel suo stile unico che gli consente di creare metri di spazio per i tiratori senza correre, senza faticare a vuoto, accelerando negli spazi stretti e per poi subito fermarsi e indietreggiare e sbilanciare la difesa.
Il gioco dei Rockets è tutto sommato semplice: pick and roll centrale Harden-Capela/Anderson.
Quello che rende così tanto letale un semplice pick and roll è la quantità di soluzioni offensive che ottieni: Harden può armare 3 tiratori sul perimetro o, in caso di penetrazione, subire fallo o alzare per Capela sull'aiuto del centro.
Molto semplice ma non facilissimo da marcare.
Anche se il rischio è quello che l’attacco risulti troppo poco bilanciato e prevedibile.
La difesa inoltre non propriamente è la specialità della casa.
Almeno quella dal perimetro.
D'Antoni preferisce concedere 3 punti "difficili" piuttosto che 2 punti "facili" perchè 3 punti la sua squadra, con i tiratori che possiede, li mette facilmente...
I Rockets concedono molto anche dentro, a causa della loro difesa sempre molto aggressiva, cosa che li porta a difendere bene il mid-range e a rubare oltre 8 palloni a partita.
Houston ha degli ottimi difensori, come ad esempio Patrick Beverley, Clint Capela o Trevor Ariza, ma ha anche un James Harden che spesso si perde uomini o si dimentica di marcare.
“Il barba” era un buon difensore ai tempi di OKC e questa metamorfosi può essere dovuta in parte a problemi di volontà e in parte al fatto che, entrando in tutti i giochi della fase offensiva, abbia bisogno di riposarsi.
Quello che comunque si può dire è che Harden va molto più spesso a rimbalzo.
Così facendo permette alla sua squadra di essere pericolosa appena recuperata palla: non è strano infatti vedere Harden lanciare un proprio compagno, scappato immediatamente in attacco dopo il tiro degli avversari.
Gli Houston Rockets effettuano tanta transizione offensiva e nonostante gli avversari non ci provino neanche ad andare a rimbalzo d’attacco, Harden è bravo a distribuire assist perfetti in ogni zona del campo.
Per quanto riguarda la disposizione dei giocatori, i texani posizionano due giocatori negli angoli e uno nel mezzo angolo (o destro o sinistro non cambia).
Quello che  rende gli esterni dei biancorossi così terrificanti è la loro tendenza a stare molto al di fuori della linea da tre punti.
I Rockets infatti sono la squadra che ha tentato più triple tra i 7.5 e i 9 metri di distanza, con ben tre giocatori (Gordon, Harden e Anderson) tra i primi cinque della NBA per tentativi a partita.
Come ovvio che sia anche in attacco a volte la macchina da guerra si inceppa: soprattutto contro avversari in grado di cambiare su ogni blocco e che fanno sentire la loro fisicità, costringendo Houston a tirare praticamente solo da 3.


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