Roald Amundsen dopo aver attraversato il Passaggio a NordOvest nel 1906 e conquistato il Polo Sud nel 1911 aveva un altro grande obiettivo: conquistare il Polo Nord.
Amundsen aveva già tentato e fallito il sorvolo del Polo Nord in aeroplano: il mezzo infatti si rivelò non adatto al lunghissimo viaggio che occorreva intraprendere nelle più avverse condizioni possibili (sino ai -60°).
Più precisamente Feucht, Ellsworth, Amundsen, Riiser-Larsen, Dietrichson, Omdal utilizzeranno a tale scopo due idrovolanti denominati N.24 e N.25 imbarcati a Tromso su due navi, l’ Hobby e la Farm e rimontati a Ny Alesund.
Sul N.25 prenderanno posto Amundsen (capo spedizione), Riisen Larsen (pilota e comandante in seconda ), Feucht (meccanico).
Sul N.24 saliranno Dietrichson (pilota), Ellsworth (esploratore e finanziatore dell impresa) e Omdal (meccanico)
La scelta di un idrovolante dalle particolari caratteristiche non è casuale ma frutto di una minuziosa valutazione e si rivelerà, come dimostreranno gli eventi, di fondamentale importanza.
Rispetto agli altri modelli a pattini o a galleggianti laterali presentava un battello centrale di ampie dimensioni in alluminio duro che permetterà di ammarare senza capovolgersi e di non sprofondare nella neve nonostante il considerevole peso del’ aereo (3 tonnellate).
La presenza di due galleggianti ai lati della chiglia servirà come rompighiaccio.
L’ aereo era dotato di due potenti motori Roll-Royce da 720 cavalli in tandem uno anteriore ed uno posteriore.
In caso di avaria di uno dei due l’ aereo avrebbe potuto proseguire il volo alleggerendo il carico.
Il 21 maggio 1925 alle ore 5 di mattina inizia la trasvolata polare: i due aerei , privi di apparecchi radio perchè non disponibili per la data prevista della partenza, decollano dalla King’s Bay.
Il N.25 senza problemi, il N.24 riporta invece durante il decollo una falla nella chiglia che non impedirà tuttavia al pilota Dietrichson di continuare il volo.
La banchisa polare si presenta come un'enorme desolata distesa di ghiaccio sconfinata, interrotta qua e là da canali di acqua “raak” e accidentata da accumuli di ghiaccio “skrugar” creati dalle dighe di pressione. Dopo 8 ore consecutive di volo, giunti all’ 88° Nord, essendo la benzina nei serbatoi ridotta alla metà, il N.25 scende a cerchi concentrici cercando dove ammarare. L’ impresa si rileva tutti’ altro che facile con il rischio di fracassare l’aereo contro gli skrugar ma il pilota riesce a fermarsi su una distesa d’acqua giusto in tempo perchè il motore posteriore smettesse di funzionare.
Il pilota del N.24, visto scendere il N. 25, ammara poco distante anche questo con problemi al motore posteriore (alle valvole di scarico).
Il Polo Nord non è stato raggiunto e dista solo 136 miglia.
I due equipaggi si tengono in contatto con segnali morse sino a ricongiungersi.
Il N.24 svuotato di tutte le cose utili per sopravvivere sulla banchisa, viene abbandonato al suo destino.
Tutti i 6 superstiti lottano per 3 settimane contro la morsa del ghiaccio per salvare l’ unico apparecchio rimasto che è diventato nel frattempo anche il loro rifugio.
Nell’ attesa di trovare le condizioni favorevoli per decollare riducono la dose di cibo giornaliera da 1000 a 300 grammi (3 biscotti).
Misurano la profondità del mare in quel punto che risulta essere di 3750 metri e concludono che al Polo Nord non esistano terre emerse, per lo meno per il tratto da loro esplorato.
Il 15 giugno il termometro segna diversi gradi sotto lo zero, la pista è gelata, liscia, dura, ideale per il decollo e soffia un vento favorevole da sud-est.
Alle 9,30 il pilota Riisen-Larsen accende i motori e alle 10,30 finalmente decolla dirigendosi verso la costa nord dello Svalbard.
Volano per ore e ore, combattendo con la nebbia che specie a 82° era diventata fitta e si mantengono a quota così bassa da sfiorare le punte degli “skrugar”.
Ad un certo punto il comando dei timoni di direzione smette di funzionare per cui verso le 7 di sera sono costretti ad ammarare per poi arrivare a terra un'ora dopo a Capo Nord nella terra di Nord-est. Avvistata una baleniera ripartono con l’ aereo ed ammarano vicino ad essa.
Il capitano della Sjoliv (questo il nome dell’ imbarcazione) riconosce tra i sei uomini Amundsen e li porta con l’aereo a rimorchio sino alla King’s Bay.
Il 5 luglio 1925 vengono accolti come eroi dalla popolazione di Oslo e ospitati a pranzo dai Reali di Norvegia.
Si conclude dunque in modo trionfale la trasvolata polare di Amundsen-Ellsworth anche se il Polo Nord non è stato raggiunto.
DIRIGIBILE
Lo stesso Amundsen ci riprova in seguito con un dirigibile, capace di effettuare grandi traversate senza richiedere rifornimenti.
In poco tempo viene organizzata l’impresa: il finanziatore è un americano, Lincoln Ellsworth e l’organizzazione è in mano ai norvegesi.
Amundsen vuole il meglio per il suo dirigibile quindi contatta Umberto Nobile.
Il norvegese chiede di acquistare uno dei suoi dirigibili militari, l’N1, oltre che richiedere l’assistenza del suo creatore, Nobile appunto.
La parte tecnica dell’impresa è interamente lasciata a Nobile e ai suoi collaboratori: una volta ottenuto il permesso dal Governo italiano l’N1 viene ribattezzato “Norge”, un dirigibile destinato ad entrare nella storia.
La missione parte il 10 aprile 1926 dall’aeroporto di Ciampino e il Norge arriva dopo diverse tappe alla base artica della Baia del Re, sulle isole norvegesi Svalbard, il 7 maggio.
La lingua utilizzata sul dirigibile era l’inglese e solo Ellsworth, l’americano, lo parlava decentemente: innumerevoli furono i disguidi e le incomprensioni durante la spedizione.
Nonostante il capitano del dirigibile fosse di fatto Nobile, Amundsen si piazzò di prepotenza al comando, limitando l’italiano al mero pilotaggio del mezzo di trasporto che lo stava portando verso la gloria internazionale.
La spedizione vera e propria partì l’11 maggio da Spitzbergen e dopo sole 14 ore raggiunse il Polo Nord geografico dopo aver attraversato un’infinita distesa di ghiacci.
I CONTRASTI NELL'EQUIPAGGIO
Dopo le cerimonie e festeggiamenti del caso si decide di lanciare sui ghiacci del Polo le bandiere delle tre nazioni coinvolte nell’impresa: Norvegia, Stati Uniti e Italia.
Nobile lancia sui ghiacci del Polo Nord una bandiera italiana grande il doppio di quelle dei suoi compagni di viaggio.
È un affronto che Amundsen non manda giù molto bene.
Il volo prosegue senza intoppi verso l’Alaska dove raggiunge il piccolo paese eschimese di Teller il 14 maggio. Gli eschimesi accolgono lo strano velivolo pensando sia una enorme foca volante.
La spedizione è ufficialmente la prima a raggiungere il Polo Nord.
Amundsen celebra la spedizione come un grande successo della Norvegia e dipinge nelle sue dichiarazioni Nobile come il semplice pilota del mezzo individuato per l’impresa. Gli imputa inoltre poco coraggio e lo descrive come una "femminuccia".
Nobile, dal canto suo, considera Amundsen un mero passeggero il cui unico merito era stato quello di aver avuto l’idea di raggiungere il Polo Nord in dirigibile. È grazie alla creazione, ingegno e abilità di Nobile che la missione ha avuto successo.
Ellsworth celebra il grande successo dei soldi americani.
LA SPEDIZIONE PER STUDIARNE SUPERFICIE ED ATMOSFERA
Nobile una volta tornato dalla prima spedizione con Amundsen decide di organizzarne subito un’altra, questa volta con finalità scientifiche e non meramente “esplorative”.
La nuova spedizione si dovrà avvalere di un nuovo dirigibile meglio attrezzato e dovrà portare sul Polo Nord degli scienziati per studiare la superficie e l’atmosfera.
Dopo diversi rifiuti, i fondi necessari si trovano grazie al sostegno del Comune di Milano, di un consorzio di industriali milanesi e con il patrocinio della Reale Società Geografica Italiana.
Il dirigibile N4 viene equipaggiato con una strumentazione scientifica d’avanguardia ed è ribattezzato “Italia”.
Alla nuova avventura prendono parte 18 uomini, tra i quali valenti scienziati come il fisico Aldo Pontremoli, il cecoslovacco Frantisek Behounek ed il meteorologo svedese Finn Malmgren, che aveva già partecipato alla missione del Norge.
La spedizione parte ufficialmente il 15 aprile 1928 da Milano e raggiunge la Baia del Re il 6 maggio per poi puntare ancora una volta verso il Polo.
La missione questa volta porta alla luce novità scientifiche di rilievo.
Questa volta invece di puntare al semplice raggiungimento del Polo Nord geografico il dirigibile compie due voli esplorativi notando l’assenza di terre emerse nella regione artica, la bassa ionizzazione dell’aria, la misurazione delle profondità marine e le derive dei ghiacci.
Il dirigibile Italia raggiunge il Polo alle ore 1.20 del 24 maggio, nell’anniversario dell’entrata in guerra del Paese nella Prima Guerra Mondiale.
LE TERRIBILI CONDIZIONI ATMOSFERICHE
Essendoci terribili condizioni meteorologiche l'equipaggio è impossibilitato ad atterrare sul pack.
La mattina del 25 maggio Italia deve affrontare una violentissima perturbazione durante il volo di rientro: i venti fortissimi costringono il dirigibile a prendere sempre più quota fino a superare lo strato di nuvole.
L’idrogeno si espande ed esce dalla valvole di sicurezza: una volta tornato sotto alle nuvole Italia non ha più la forza di stare in volo e finisce rovinosamente a terra.
La cabina di pilotaggio viene rasa al suolo: Nobile, la sua cagna Titina e altre otto persone dell’equipaggio vengono scaraventati fuori.
Ora, più leggero, Italia riprende quota e porta con se le rimanenti sei persone dell’equipaggio.
Fortunatamente l’incidente non ha lasciato sul ghiaccio solo i 9 uomini ma anche una tenda da campo rossa e una radio funzionante “Ondina 33” con cui il marconista Giuseppe Biagi comincia subito a trasmettere SOS.
I nove (di cui due gravemente feriti, uno è Nobile) entrano non si sa come in una tenda da quattro persone e attendono di essere portati in salvo in qualche maniera.
La nave di supporto Città di Milano però non pare captare le richieste di aiuto provenienti dalla tenda rossa in mezzo ai ghiacci.
È un radioamatore russo il primo a riceverli e a dare l’allarme: nessuno gli crede.
Passano cinque giorni e alla fine tre uomini (Mariano, Zappi e Malmgren) decidono che non ha più senso aspettare di morire in una tenda e si incamminano alla ricerca della terra ferma.
Il 7 giugno la Città di Milano decide di sintonizzare la radio sulle frequenze di emergenza per captare gli SOS dei dispersi.
Inizia così una spedizione internazionale di soccorso, il primo esempio in assoluto nell’ambiente polare. Norvegesi, svedesi, finlandesi e russi collaborano con una flotta di baleniere e rompighiaccio alla ricerca degli esploratori italiani dispersi.
LA MORTE DI AMUNDSEN
Quando Amundsen poi viene a sapere del disastro di Italia seppellisce immediatamente l’ascia di guerra, indossa i panni dell’esploratore ancora una volta e sale subito a bordo di un aereo francese per arrivare sul posto.
L’aereo purtroppo per lui e il suo pilota finisce però nel mare di Barents il 18 giugno e non verrà mai recuperato.
Amundsen muore così mentre stava cercando di andare ad aiutare il suo nemico Umberto Nobile.
È Maddalena con il suo idrovolante il primo ad individuare la tenda rossa dei sopravvissuti in mezzo ai ghiacci e lancia ai naufraghi i primi rifornimenti, stabilendo un ponte aereo in attesa che i soccorsi arrivino via terra.
Il 23 giugno arriva finalmente il Fokker 31 dello svedese Lundborg: l’aereo può trasportare solo un’altra persona oltre al pilota e Lundborg insiste che sia uno dei due feriti: Nobile e Cecioni.
Nobile viene fatto salire a forza sul Fokker: questo episodio farà scaturire una infinità di polemiche in quanto essendo capitano avrebbe dovuto abbandonare per ultimo la tenda, poco importano i particolari.
Dopo aver lasciato Nobile, Lundborg torna subito indietro per recuperare gli altri ma si schianta al suolo e rimane a sua volta intrappolato in mezzo ai ghiacci.
Il rompighiaccio sovietico Krassin raggiunge la tenda rossa il 12 luglio, 48 giorni dopo l'incidente.
Dopo una lenta e difficile marcia di avvicinamento, il rompighiaccio sovietico Krassin raggiunge la tenda rossa il 12 luglio, 48 giorni dopo l’indicente, e riesce finalmente a recuperare tutti i restanti componenti della missione.
Durante il viaggio il Krassin recupera anche i tre che si erano allontanati per cercare aiuto: ne sono rimasti solo due, Mariano e Zappi, che raccontano come Malmgren sia morto un mese prima.
La stampa internazionale racconta che se lo sono mangiato per sopravvivere tra i ghiacci.
I sei membri dell’equipaggio rimasti a bordo dell’Italia dopo l’incidente sono invece persi per sempre: le ricerche si protraggono per mesi fino a quando il 22 settembre la missione viene definitivamente abbandonata dopo il ritiro delle pattuglie italiane e il disimpegno degli scandinavi.
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