Peggio concludi l'anno, maggiori sono le possibilità di pescare nuovi talenti quindi di essere competitivo in futuro.
Sono molte le storie di squadre perdenti che sono risorte perché al Draft hanno scelto un campione.
Ad esempio Sam Hinkie, il general manager dei Philadelphia 76ers, sta puntando su di ciò ed ha un piano: creare la squadra più perdente della storia dell’NBA.
Il sistema è aiutato dalla mancanza di retrocessioni, essendo un circolo chiuso nel quale vige l'autosostentamento e la bravura e la fortuna sta nello scovare giovani dai college.
Quindi ogni anno, a fine stagione, le squadre si riuniscono ed estraggono a sorte l’ordine di scelta dei nuovi giocatori (che vengono dalle squadre dei college, sono appena usciti dalle scuole superiori o già militano in campionati stranieri).
Chi sceglie per primo ha più possibilità di aggiudicarsi i giocatori più talentuosi, e la lotteria è studiata in modo da favorire le squadre che nel campionato precedente sono andate peggio.
Se nella stagione appena finita una squadra è arrivata ultima in classifica, avrà il 25 per cento delle possibilità di scegliere per prima, la seconda peggiore avrà il 19.9 per cento, etc
MEGLIO SCARTI, INFORTUNATI E PERDENTI CHE BUONI GIOCATORI
Tornando a Philaldelphia, da un paio di anni, la squadra è un’accozzaglia di scarti e ragazzini che nessun’altra squadra della Lega terrebbe nemmeno in panchina, con un allenatore al suo primo vero lavoro e una collezione di figuracce da nascondersi.
L'obiettivo di Hinkie è sempre lo stesso: indebolire il roster.
Quindi via un giocatore discreto/buono e dentro uno scarto, un giocatore in là con gli anni, uno non eleggibile(come Saric) o finanche infortunato(come Embiid ad esempio) e che raramente vedrà il campo.
Ce ne sarebbe abbastanza per licenziare in tronco dirigenza, giocatori e allenatore: da anni i Sixers sono lo zimbello dello sport professionistico americano.
Ma il proprietario della squadra, il finanziere Joshua Harris, non licenzia nessuno e anzi rinnova la fiducia al gruppo.
E perfino i tifosi, benché oggi quello di Philadelphia sia uno dei palazzetti meno frequentati d’America, non sono in rivolta come sarebbe prevedibile.
Il fatto, appunto, è che Sam Hinkie ha un piano.
Hinkie non è un novellino dello sport professionistico americano.
E' vero che nella sua vita non ha praticamente mai giocato a basket ma ha un master a Stanford(molto appassionato di "calcolo statistico"), un passato come finanziere presso Bain Capital e una passione per i numeri.
E’ entrato nel mondo della NBA quasi dieci anni fa, quando è diventato assistente del general manager di Houston, un altro matto di statistiche come Daryl Morey e nel 2013 ha ottenuto la dirigenza dei Sixers.
Al suo arrivo, la strada era in parte già stata segnata dal proprietario Harris, che nel 2011 disse: “Non faremo un 41-41”(le partite sono 82 quindi equivale ad un 0.500).
All’arrivo di Hinkie però vincere, con quello che i Sixers avevano a disposizione, non era possibile.
Non restava che perdere, ma perdere ponendo le basi per le vittorie future.
Hinkie ha deciso che i Sixers dovevano perdere e perdere alla grande.
Ovviamente i Sixers non perdono apposta ma s'impegnano, il problema è che la squadra è quello che è.
Infatti Hinkie ha creato consapevolmente una delle peggiori squadre della storia della NBA.
LA STRATEGIA DEGLI ASSET E DEI BASSO MONTE INGAGGIO
Quello di cui il general manager dei Sixers sta facendo tesoro non sono i risultati sul campo, sono gli asset. Hinkie non solo sta lasciando che la squadra perda per ottenere scelte migliori alla lotteria ma sta costruendo intorno una rete di potenziale (per ora inespresso) e pronto a mostrarsi all’occorrenza.
Ha scambiato buoni giocatori ma spesso con scelte per il Draft: questo vuol dire che al momento di scegliere i nuovi talenti, i Sixers potranno scegliere anche per le squadre di cui hanno acquisito i diritti.
Un'altra strategia di Philadelphia è il basso monte ingaggi: senza contratti di rilievo i Sixers hanno uno spazio salariale elevatissimo.
Arrivasse la scelta giusta al Draft, con qualche giocatore migliorato nel roster più qualche veterano free agent, bè avranno i soldi per completare il loro piano facendo firmare più o meno chiunque.
Sono molte le variabili ma se tutto va bene, il piano di Hinkie funzionerà e Philadelphia avrà una squadra da titolo.
Certo, la chiave di tutto, è mettere sotto contratto l'ipotetico fenomeno dal draft invogliando free agent a scegliere Philaldelphia.
Anche i tifosi l’hanno capito e a Philadelphia una buona fetta degli appassionati sostiene il piano machiavellico del general manager.
Ovviamente ci sono altre squadre che, arrivate ad un certo punto della stagione, puntano ad arrivare all'ultimo posto per avere maggiori possibilità di avere la prima scelta al draft dell'anno successivo ma solo per i Sixers di Hinkie perdere è un obiettivo pianificato con cura, da inizio stagione ed ormai da anni.
In un certo senso quello dei Sixers ricorda la "matematica" quindi la scienza che c'è dietro la Sabermetrica: ovvero squadre che puntano a formare roster con giocatori "difettosi" o scartati da altre squadre ma che nel loro complesso sono utili alla causa.
La differenza però qui è che le statistiche e strategie servono per creare una squadra di perdenti un comportamento che molti considerano immorale.
Perché un conto è tirare i remi in barca a stagione inoltrata, quando ormai i giochi sono fatti, e decidere che a un certo punto si può iniziare a preservare le forze per la stagione successiva, un altro è decidere di perdere ancora prima dell’inizio del campionato, avere la sconfitta come strategia e obiettivo.
Molti dicono che per evitare questo comportamento da parte delle squadre, la NBA dovrebbe istituire un campionato cadetto, per spronare i perdenti a lottare per evitare la retrocessione, come succede nel calcio.
Per ora il commissario generale della Lega, Adam Silver, difende Hinkie e i Sixers: “Quello che spesso nella nostra Lega è chiamato perdere apposta, può essere definito meglio come ricostruzione. Purtroppo, ricostruire una squadra non è facile in nessun campionato ed è un compito che richiede tempo e una pianificazione attenta”.
Hinkie può continuare a perdere, almeno per ora.
Ma Silver ha aggiunto: “Il Draft è un sistema imperfetto. Spesso le prime scelte non trasformano le squadre”. In poche parole Hinkie sta facendo una scommessa rischiosa.
Può succedere che quando il piano di Hinkie sarà pronto, quell’anno al Draft non ci sia nessun giocatore di valore.
O che ci sia, ma Hinkie se lo faccia sfuggire, come il general manager che non riconobbe il talento di Michael Jordan.
CONSIDERAZIONI GENERALI
Come si sarà capito a Hinkie e ai Sixers non interessa mettere in piedi una squadra competitiva, che raggiunga un posto fisso ai playoff a Est ma poi venga spazzata via al primo turno: il progetto, paradossalmente considerati i risultati attuali, è molto più ambizioso, e prevede che un giorno siano proprio le altre squadre a temere i Sixers.
Hinkie non se ne fa nulla di una squadra da playoff o da secondo turno com’era Phila prima del suo arrivo.
Ecco perché viene ceduto Carter-Williams pochi mesi dopo aver vinto il Rookie Of The Year: con la crescita dei vari Noel, Wroten e McDaniels la squadra avrebbe potuto migliorare e puntare ai playoff.
Non vincere però, ovviamente.
E questo cioè i solo playoff, in un simile progetto, per il GM non deve accadere.
Ma perché? Perché quei miglioramenti in termini di vittorie equivarrebbero a meno palline in sede di Lottery. Perché la pietra miliare su cui costruire una squadra da titolo è un franchise player riconosciuto, e il modo più semplice per assicurarselo è il Draft: e se il tuo obiettivo nel medio-lungo periodo è vincere il titolo la tua superstar deve essere di primissimo livello, non può essere, un medio/discreto giocatore.
Un Carter Williams (buono ma non fenomenale) diventa quindi un problema all’interno di questa logica, perché migliora la squadra ma non la rende una pretendente al titolo quindi va ceduto per quasi nulla (uno scarto, uno infortunato o roba così).
Nel frattempo, Hinkie comunque non sta ovviamente con le mani in mano: le scelte, anche quelle del secondo giro sono funzionali a trovare nuove leve utili per il supporting cast cercando però di non correre il rischio che la squadra migliori (al punto da perdere posti in Lottery).
Sono più pericolose in tal senso le prime scelte, che portano tendenzialmente giocatori più talentuosi o in grado di incidere.
Ecco dunque che in questa logica diventano appetibili giocatori non in grado di avere un impatto immediato.
Insomma, la tattica di Hinkie pare molto semplice: creare le condizioni di supporting cast, staff tecnico, idea di gioco e spazio salariale per ripartire una volta trovata la quadratura del cerchio e il giocatore su cui puntare, al quale così verrebbe affiancata in breve tempo una squadra giovane e competitiva, attingendo anche alla free agency.
Nel frattempo, continuo rebuilding per rimanere nelle migliori posizioni in Lottery, accumulo di scelte per avere più possibilità di trovare buoni elementi, e squadra il meno possibile competitiva per mantenere alte le probabilità di assicurarsi il nuovo dominatore della Lega, senza guardare ai risultati.
Una volta entrati in questa ottica, ogni movimento di Hinkie assume una logica.
Hinkie venne influenzato da Daryl Morey ad Houston che mirava appunto ad un franchise player che nel suo caso non sarebbe dovuto arrivare dal Draft ma dal mercato.
Hinkie parte da questa filosofia cui ha attivamente preso parte, ma, puntando invece prevalentemente sul Draft, la estremizza al massimo.
Quello di Hinkie è dunque un progetto utopico con tanti "se": riuscire a riprodurre in laboratorio quanto di più istintivo e imprevedibile esista, il basket, prevedendone le variabili grazie a leggi matematiche applicate perfettamente alla squadra ideale che ha in mente.
Comunque andrà a finire il progetto Philadelphia, Hinkie rimarrà un visionario, forse un genio, o addirittura un pazzo: perché è risaputo che il confine tra genio e follia sia sottilissimo, e poche volte i due campi sono parsi tanto vicini come nel caso di Sam Hinkie e del suo utopico progetto.
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