"Non è folle chi corre sul Ventoux ma è folle colui che ci ritorna"
Il Mont Ventoux è considerato il gigante della Provenza ed una delle salite più dure (e mitiche) del ciclismo. 1912 m di altitudine, circa 21 km, per 7.7 % di pendenza media (con tratti che superano il 15%). La particolarità della salita è che dopo una decina di km scompare la vegetazione e lascia spazio a pietre e rocce (calcaree). L'aria è molto rarefatta (c'è poco ossigeno e si fa fatica a respirare) e c'è solo qualche specie polare (tipo il papavero d'Islanda o detto di ghiaccio). Altra particolarità è che spirano sempre forti venti (che possono essere a favore o contrari). E' conosciuto anche come il monte calvo, monte ventoso e montagna maledetta.
Il Ventoux si erge nella regione del Vaucluse ed è visibile da miglia di distanza a causa dei suoi versanti di ghiaia calcarea. Completamente privo di alberi sulla cima (vennero tagliati per fornire legname ai cantieri navali di Toulon e non ricrebbero più), può essere un ambiente aspro quando soffia il maestrale. La stazione meteorologica posta sulla vetta ha registrato venti da 150 km orari di velocità e temperature inferiori ai -20°C. Il percorso classico è quello che vede la scalata iniziare abbastanza tranquillamente e cominciare a farsi sentire realmente dopo 6 km, quando vira con decisione a sinistra alla curva di Saint-Esteve e si inoltra nella foresta. La salita prosegue all’ombra per i seguenti 9.5 km, prima di uscire nuovamente alla luce del sole al café Chalet Renard. Da qui, il paesaggio cambia drasticamente per lasciare spazio ai ghiaioni di pietra calcarea e alla vista della vetta, 6 km più avanti. La pedalata finale verso il traguardo è una battaglia contro la fatica, il vento e il caldo. In estate le temperature possono alzarsi al punto di diventare insostenibili.
L'INGLESE TOM SIMPSON
Tom Simpson nacque nel 1937 ad Haswell e nel tempo ha assunto le sembianze del personaggio che col suo sacrificio ha accelerato la lotta al doping.
Una fine agghiacciante e che suscitò molto scalpore, anche perchè in diretta televisiva.
Tom Simpson morì in quel paesaggio lunare e spettrale sulle pendici del Mont Ventoux, il monte calvo(o ventoso) come lo chiamano i francesi, battuto spesso dal vento provenzale, fra pietre bianche e mancanza di vegetazione, in una giornata di caldo asfissiante ed infernale che toccò i 45 gradi.
Era il 13 luglio del 1967 e il Tour de France stava vivendo una delle sue giornate più attese e importanti per la classifica generale.
La corsa, un pò a sorpresa, stava per essere vinta da Roger Pingeon, il quale aveva saputo indossare la maglia gialla anticipando gli avversari con una serie di attacchi da lontano.
Tommy Simpson a novembre avrebbe compiuto trent'anni. A casa l'aspettavano la moglie Helen e i figli Jan e Joanna. Lui voleva arrivare sul podio a Parigi, voleva portare a casa la maglia gialla (primo inglese a indossarla, arrivò sesto in classifica finale nel '62). Voleva in particolare smentire tutti coloro che lo consideravano soltanto un corridore adatto alle classiche, non alle gare a tappe.
Aveva già vinto tanto Tommy Simpson, alla vigilia di quel Tour de France.
E avrebbe voluto correre la stagione successiva in Italia. Era già stato campione del mondo.
Colse il titolo iridato nel '65 a La Sarte, aveva saputo vincere rocambolescamente sfide classiche e leggendarie come la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia, il Giro delle Fiandre, una maratona spietata e infinita come la Bordeaux-Parigi, d'oltre 500 km.
Battendo spesso con arguzia e con astuzia i corridori italiani più celebri del momento.
La regina d'Inghilterra l'aveva già promosso Baronetto.
Ma il Tour de France continuava a rivelarsi ostico e spietato» tremendo e difficile per il simpatico Tommy. Troppo massacrante, con quelle montagne infinite, quel caldo assurdo, quelle tappe che giorno dopo giorno si susseguivano con spietata puntualità, crono e pavé, salite ripetute e ravvicinate.
Eppure non voleva mollare, nonostante tutto.
LA TRAGEDIA (13 LUGLIO 1967)
Come detto, era il 13 luglio 1967, quel mattino il caldo s'annunciava afoso già all'alba.
Il medico del Tour de France, dottor Dumas, sulla porta dell'hotel marsigliese, fumando la prima sigaretta, alle 6.30 guardava in direzione della Provenza e del Mont Ventoux con addosso molta preoccupazione.
"Ci saranno più di 40 gradi nel pomeriggio su quel monte. Se qualche corridore esagera con qualche pasticca lassù ci scappa il morto"
Al raduno di partenza a Marsiglia, Tommy Simpson incrociò lo sguardo d'un cronista che sapeva essere anche amico, Adriano De Zan, telecronista di talento. Il dialogo fra i due mette i brividi addosso anche a distanza di una vita.
Faceva un caldo allucinante quel mattino, mancava l'aria.
La tappa da Marsiglia avrebbe dovuto raggiungere Carpentras, scalando il Mont Ventoux.
Simpson aveva la faccia stanca come chi non ha recuperato le fatiche delle giornate precedenti».
Poi, Simpson prese il via come tutti, cercando di superare le prime fatiche di giornata in attesa della montagna. Ai piedi del Ventoux si fermò in un piccolo borgo che si chiama Bedoin.
Entrò in un bar a prendere acqua, il gruppo viaggiava a ritmi bassi in attesa della bagarre.
Bevette un sorso di cognac (ai tempi, non di rado, i corridori frequentavano bar durante la corsa).
Un cocktail micidiale, tenuto conto che nelle tasche della maglia poi gli trovarono anche qualche pasticca di simpamina, il doping dell'epoca, quando ancora non si facevano i controlli e i corridori cercavano di vincere con gli anfetaminici quelle fatiche prolungate. Ma ecco il Ventoux.
Il vento caldo che soffiava dal mare s'attenuava di colpo salendo fra la vegetazione.
Ma dopo Chalet Reynard, la vegetazione spariva. E il sole picchiava spietato sulle pietre bianche e lunari, togliendo ossigeno all'aria. Lo scalatore spagnolo Julio Jimenez scattava come sempre, secondo copione, provocando panico fra gli avversari. Poco più indietro a ritmi meno asfissianti, ecco la maglia gialla Pingeon, Gimondi, Janssen e Tommy Simpson. Gli altri alle spalle erano in difficoltà e stavano andando alla deriva.
Ma d'improvviso, quasi a 3 km dalla vetta, Simpson comincia a zigzagare, lo sguardo perso nel vuoto, la testa reclinata da un lato. Cadde, gli spettatori pensano sia stata una sbandata, un incidente meccanico e lo rimettono in sella, lo spingono perché si riprenda e possa seguire gli avversari che gli stavano pedalando al fianco e che adesso se ne stanno andando verso la vetta,
Ma lui spinge sui pedali come un automa, continua a zigzagare, gli avversari lo hanno lasciato, è solo tra la folla che assiste al suo dramma in silenzio, smettendo di vociare, di urlare, intuendo di colpo quanto sta per accadere. Simpson crolla d'improvviso come inanimato. Privo di conoscenza.
Accorrono in tanti su di lui, steso ai bordi della strada, quasi che quelle pietre bianche, aguzze e bollenti, gli servissero da ultimo letto. Accorre anche il dottor Dumas, le prova tutte, aspirazione bocca a bocca, massaggio cardiaco, iniezioni, maschera ad ossigeno. Arriva anche l'elicottero, che d'urgenza lo trasporta all'ospedale di Avignone, dove non possono far altro che constare la sua morte.
Alle 17.30 del 13 luglio '67.
Ma forse Tommy se n'era davvero già andato lassù, su quella montagna maledetta, mentre gli avversari, i compagni di squadra, cercavano di giocarsi il successo di tappa a Carpentras, quello che colse l'olandese Jan Janssen su Gimondi. Erano ancora tutti ignari della morte di Simpson, i corridori, quando disputarono quello sprint. Lo seppero poco dopo e in tanti piansero quel povero ragazzo, turbati da una morte che forse lui stesso prima di ogni altro avrebbe potuto evitare.
Il giorno dopo, il 14 luglio, il Tour non celebrò come nelle altre occasioni la festa nazionale dei francesi.
Da Carpentras a Séte non ci fu vera corsa e nel finale venne concessa via libera a Barry Hoban, l'amico di Simpson, in lacrime sul traguardo. Il miglior modo per onorare la scomparsa d'un protagonista.
Barry Hoban a distanza di qualche tempo sposò la moglie di Tom, crescendo nel ricordo struggente i suoi figli. La morte di Simpson accelerò davvero parecchio la messa a punto di ben precise regole del gioco per combattere il doping nel ciclismo e nello sport per impedire a tutti di esagerare, di rischiare davvero la vita su quel terreno minato, ingurgitando prodotti che consentivano di non avvertire così pesante il senso della fatica. Sino alle conseguenze estreme.
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Una fine agghiacciante e che suscitò molto scalpore, anche perchè in diretta televisiva.
Tom Simpson morì in quel paesaggio lunare e spettrale sulle pendici del Mont Ventoux, il monte calvo(o ventoso) come lo chiamano i francesi, battuto spesso dal vento provenzale, fra pietre bianche e mancanza di vegetazione, in una giornata di caldo asfissiante ed infernale che toccò i 45 gradi.
Era il 13 luglio del 1967 e il Tour de France stava vivendo una delle sue giornate più attese e importanti per la classifica generale.
La corsa, un pò a sorpresa, stava per essere vinta da Roger Pingeon, il quale aveva saputo indossare la maglia gialla anticipando gli avversari con una serie di attacchi da lontano.
Tommy Simpson a novembre avrebbe compiuto trent'anni. A casa l'aspettavano la moglie Helen e i figli Jan e Joanna. Lui voleva arrivare sul podio a Parigi, voleva portare a casa la maglia gialla (primo inglese a indossarla, arrivò sesto in classifica finale nel '62). Voleva in particolare smentire tutti coloro che lo consideravano soltanto un corridore adatto alle classiche, non alle gare a tappe.
Aveva già vinto tanto Tommy Simpson, alla vigilia di quel Tour de France.
E avrebbe voluto correre la stagione successiva in Italia. Era già stato campione del mondo.
Colse il titolo iridato nel '65 a La Sarte, aveva saputo vincere rocambolescamente sfide classiche e leggendarie come la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia, il Giro delle Fiandre, una maratona spietata e infinita come la Bordeaux-Parigi, d'oltre 500 km.
Battendo spesso con arguzia e con astuzia i corridori italiani più celebri del momento.
La regina d'Inghilterra l'aveva già promosso Baronetto.
Ma il Tour de France continuava a rivelarsi ostico e spietato» tremendo e difficile per il simpatico Tommy. Troppo massacrante, con quelle montagne infinite, quel caldo assurdo, quelle tappe che giorno dopo giorno si susseguivano con spietata puntualità, crono e pavé, salite ripetute e ravvicinate.
Eppure non voleva mollare, nonostante tutto.
LA TRAGEDIA (13 LUGLIO 1967)
Come detto, era il 13 luglio 1967, quel mattino il caldo s'annunciava afoso già all'alba.
Il medico del Tour de France, dottor Dumas, sulla porta dell'hotel marsigliese, fumando la prima sigaretta, alle 6.30 guardava in direzione della Provenza e del Mont Ventoux con addosso molta preoccupazione.
"Ci saranno più di 40 gradi nel pomeriggio su quel monte. Se qualche corridore esagera con qualche pasticca lassù ci scappa il morto"
Al raduno di partenza a Marsiglia, Tommy Simpson incrociò lo sguardo d'un cronista che sapeva essere anche amico, Adriano De Zan, telecronista di talento. Il dialogo fra i due mette i brividi addosso anche a distanza di una vita.
Faceva un caldo allucinante quel mattino, mancava l'aria.
La tappa da Marsiglia avrebbe dovuto raggiungere Carpentras, scalando il Mont Ventoux.
Simpson aveva la faccia stanca come chi non ha recuperato le fatiche delle giornate precedenti».
Poi, Simpson prese il via come tutti, cercando di superare le prime fatiche di giornata in attesa della montagna. Ai piedi del Ventoux si fermò in un piccolo borgo che si chiama Bedoin.
Entrò in un bar a prendere acqua, il gruppo viaggiava a ritmi bassi in attesa della bagarre.
Bevette un sorso di cognac (ai tempi, non di rado, i corridori frequentavano bar durante la corsa).
Un cocktail micidiale, tenuto conto che nelle tasche della maglia poi gli trovarono anche qualche pasticca di simpamina, il doping dell'epoca, quando ancora non si facevano i controlli e i corridori cercavano di vincere con gli anfetaminici quelle fatiche prolungate. Ma ecco il Ventoux.
Il vento caldo che soffiava dal mare s'attenuava di colpo salendo fra la vegetazione.
Ma dopo Chalet Reynard, la vegetazione spariva. E il sole picchiava spietato sulle pietre bianche e lunari, togliendo ossigeno all'aria. Lo scalatore spagnolo Julio Jimenez scattava come sempre, secondo copione, provocando panico fra gli avversari. Poco più indietro a ritmi meno asfissianti, ecco la maglia gialla Pingeon, Gimondi, Janssen e Tommy Simpson. Gli altri alle spalle erano in difficoltà e stavano andando alla deriva.
Ma d'improvviso, quasi a 3 km dalla vetta, Simpson comincia a zigzagare, lo sguardo perso nel vuoto, la testa reclinata da un lato. Cadde, gli spettatori pensano sia stata una sbandata, un incidente meccanico e lo rimettono in sella, lo spingono perché si riprenda e possa seguire gli avversari che gli stavano pedalando al fianco e che adesso se ne stanno andando verso la vetta,
Ma lui spinge sui pedali come un automa, continua a zigzagare, gli avversari lo hanno lasciato, è solo tra la folla che assiste al suo dramma in silenzio, smettendo di vociare, di urlare, intuendo di colpo quanto sta per accadere. Simpson crolla d'improvviso come inanimato. Privo di conoscenza.
Accorrono in tanti su di lui, steso ai bordi della strada, quasi che quelle pietre bianche, aguzze e bollenti, gli servissero da ultimo letto. Accorre anche il dottor Dumas, le prova tutte, aspirazione bocca a bocca, massaggio cardiaco, iniezioni, maschera ad ossigeno. Arriva anche l'elicottero, che d'urgenza lo trasporta all'ospedale di Avignone, dove non possono far altro che constare la sua morte.
Alle 17.30 del 13 luglio '67.
Ma forse Tommy se n'era davvero già andato lassù, su quella montagna maledetta, mentre gli avversari, i compagni di squadra, cercavano di giocarsi il successo di tappa a Carpentras, quello che colse l'olandese Jan Janssen su Gimondi. Erano ancora tutti ignari della morte di Simpson, i corridori, quando disputarono quello sprint. Lo seppero poco dopo e in tanti piansero quel povero ragazzo, turbati da una morte che forse lui stesso prima di ogni altro avrebbe potuto evitare.
Il giorno dopo, il 14 luglio, il Tour non celebrò come nelle altre occasioni la festa nazionale dei francesi.
Da Carpentras a Séte non ci fu vera corsa e nel finale venne concessa via libera a Barry Hoban, l'amico di Simpson, in lacrime sul traguardo. Il miglior modo per onorare la scomparsa d'un protagonista.
Barry Hoban a distanza di qualche tempo sposò la moglie di Tom, crescendo nel ricordo struggente i suoi figli. La morte di Simpson accelerò davvero parecchio la messa a punto di ben precise regole del gioco per combattere il doping nel ciclismo e nello sport per impedire a tutti di esagerare, di rischiare davvero la vita su quel terreno minato, ingurgitando prodotti che consentivano di non avvertire così pesante il senso della fatica. Sino alle conseguenze estreme.
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