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domenica 4 febbraio 2024

Il Primo Giocatore Morto In Campo: William Cropper (Grimsby Town v Staveley)

L'attaccante William Cropper passò alla storia perchè fu il primo giocatore di calcio (1889) a morire ufficialmente per via di un colpo ricevuto in campo Aveva 26 anni.. Il durissimo scontro con il terzino destro del Grimsby Dan Doyle gli provocò la rottura dell'aorta tra urla lancinanti. Cropper, come usanza dell'epoca era anche un battitore del Derbyshire County Cricket Club. Oltre che attaccante, giocava anche ala e venne messo sotto contratto dallo Staveley, formazione calcistica locale che, da qualche tempo, stava provando a passare al professionismo (saranno i debiti ad impedire che ciò accada, portando anche alla scomparsa della squadra). 


LA MORTE IN CAMPO (1889)
Il 13 gennaio, lo Staveley giocava in trasferta a Clee Park sul campo del Grimsby Town, noti all'epoca per grande aggressività e per interventi molto rudi (inoltre ai tempi il regolamento era quello che era e non si era minimamente tutelati). I giorni prima della partita, Cropper aveva trovato un altro lavoro e meditava di lasciare il calcio. Allenatore e compagni, tuttavia, lo convincono a giocare. E’ una giornata molto fredda, c’è un forte vento e il campo è particolarmente scivoloso. Insomma, le premesse sono quelle di una vera e propria battaglia. Nel Grimsby peraltro, gioca Dan Doyle, calciatore scozzese molto noto in quegli anni, per la sua pessima reputazione dal punto di vista caratteriale. Era considerato un mercenario ed uno che era solito minacciare di continuo i presidenti dei club per contratti migliori, optando per il cambio di squadra in caso contrario. Anche in campo è uno che non le manda a dire, per qualcuno è addirittura un delinquente per le sue entrate assassine, nonché l’incubo assoluto degli arbitri. E’ il pezzo pregiato del Grimsby, che lo ha acquistato da poco tempo. La sua reputazione, tuttavia, verrà ulteriormente peggiorata a causa dello scontro con William Cropper appunto. La sfida è iniziata soltanto da una decina di minuti e ci sono già stati diversi contrasti duri ma regna l’equilibrio. All’improvviso, nei pressi della zona mediana, la palla si impenna e viene contesa da William Cropper e Dan Doyle. Lo scozzese decide di alzare il ginocchio, un po’ come fanno i portieri quando escono in presa alta. L’impatto avviene esattamente sullo stomaco di Cropper ed è violentissimo. L’attaccante dello Staveley si rotola a terra, emette lancinanti urla di dolore. La situazione appare immediatamente drammatica. Secondo le cronache dell'epoca mentre usciva dal campo, urlò "mi hanno ucciso, mi hanno ucciso". La sua, purtroppo, si rivelerà una profezia. Secondo le prime ricostruzioni, William sarebbe morto direttamente negli spogliatoi. Una versione che, però, la dirigenza del Grimsby ha sempre smentito. Notando le sue condizioni gravissime, decidono di non trasportarlo in ospedale, troppo distante dal luogo. Viene portato allo studio di un medico lì vicino che lo assiste tutta la notte ma il mezzogiorno seguente è costretto a costatarne il decesso. Dall’autopsia emerge un buco di quasi due centimetri all’altezza dell’intestino. Scattano le indagini e Doyle finisce tra gli indagati.  Al termine verrà scagionato perché il medico legale stabilirà che l’impatto era stato del tutto fortuito. La reputazione di Doyle rimarrà per sempre macchiata e, per molto tempo, anche quella del Grimsby, con numerosi avversari che rifiuteranno di sfidarli per il loro gioco troppo duro. 


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giovedì 4 maggio 2023

Giocatori Morti In Campo Nel Regno Unito

In questa lista vedremo alcuni giocatori che giocavano nel Regno Unito morti in campo. Come si può vedere la maggior parte delle morti sono molto datate, in quanto all'epoca era facile morire sul terreno di gioco per contrasti o problemi di salute non curati.

13-01-1889: William Cropper, dello Staveley, morto durante un match contro il Grimsby Town per rottura dell’aorta (rottura dell'intestino)

11-01-1892: James Dunlop, del St. Mirren, morto in un'amichevole contro l'Abercorn, cadde su un pezzo di vetro che gli causò il tetano

25-05-1896: James Logan, del Loughborough, collasso pneumotoracico

29-11-1896: Joe Powell, del Woolwich Arsenal, si ruppe un braccio in un contrasto durante un match contro il Kettering Town, morì a seguito dell'infezione

01-1900: James Collins, dello Sheppey United, morto a causa di un’infezione

27-08-1902: Di Jones, del Manchester City, a causa di setticemia

8-4-1907: Tommy Blackstock, del Manchester United, morì a seguito di un colpo di testa in un incontro contro il St. Helen

1908: Frank Levick, dello Sheffield United, morì di arresto cardiaco

29-12-1909: James Main, dell’Hibernian, morì per le conseguenze di un violentissimo scontro con un giocatore del St. Pathrick’s che lo colpì allo stomaco

19-2-1916: Bob Benson, dell’Arsenal, durante un match contro il Reading

7-1-1921: Horace Fairhurst, del Blackpool, s’infortunò alla testa in un match contro il Burnsley

11-11-1923: Tom Butler, del Port Vale, si ruppe un braccio e morì d’infezione

30-4-1927: Sam Wynne, del Bury, collassò in campo durante un match contro lo Sheffield Utd e morì pochi giorni dopo per un’emorragia cerebrale

5-9-1931: John Thomson, del Celtic, si spaccò a causa di un violento colpo al cranio in un contrasto di gioco contro Sam English dei Rangers

1-12-1934: Sim Raleigh, del Gillingham, si scontrò contro Paul Mooney del Brighton, testa contro testa, il primo morì, il secondo si ritirò dal calcio

5-2-1936: Jim Thorpe, del Sunderland, era diabetico e morì dopo un durissimo match contro il Chealsea

25-2-1967: Tony Allden, dell’Highgate Utd, durante un match di FA Cup contro l’Enfield fu colpito da un fulmine

18-5-1977: Tony Aveyard, dello Scarborough, a causa di un infortunio alla testa

8-9-1990: David Longhurst, dello York City, attacco di cuore contro il Lincoln City

25-10-1995: Michael Goddard, del Dundela, pallonata al petto

12-04-2005: Paul Sykes, del Folkestone Invicta, contro il Margate si accasciò al suolo e solo l’autopsia scoprì una malformazione cardiaca

9-9-2006: Matt Gadsby, del Hinckley Utd, attacco di cuore dovuto ad una non diagnosticata malformazione del cuore nota come cardiomiopatia ventricolare destra

29-12-2007: Phil O’Donnell, del Motherwell, morto per un violento attacco epilettico durante un match contro il Dundee


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venerdì 9 aprile 2021

Phillip Adams e La Strage Di Rock Hill: 5 Morti (NFL)

Il killer della sparatoria avvenuta a Rock Hill (South Carolina), che ha visto la morte di 5 persone nella notte tra giovedì e venerdì, è stato un ex giocatore della NFL: il 33enne Phillip Adams, che si è suicidato dopo la strage. Adams era stato scelto nel draft 2010 dai San Francisco 49ers, poi un gran girovagare di squadre tra New England Patriots, Seattle Seahawks, Oakland Raiders, New York Jets ed Atlanta Falcons (ultima squadra nel 2015, prima del suo ritiro).
Adams in seguito si è tolto la vita con una pistola calibro 45, forse la stessa arma usata per la sparatoria: secondo le ricostruzioni della polizia, l'ex giocatore è entrato nell’abitazione del suo medico, il 70enne Robert Lesslie, ha aperto il fuoco contro il dottore e ha ucciso anche la moglie Barbara (69), i due nipoti, Adah e Noah, e un’altra persona che stava lavorando in casa. Pare che ci sia anche una sesta persona ferita gravemente e ricoverata in ospedale. 

Lo sceriffo: "Non c'è niente che abbia senso"

Adams giocò 78 partite nella NFL in cinque stagioni, subendo numerosi infortuni, tra cui una serie di commozioni cerebrali e una frattura alla caviglia sinistra, che ne avevano limitato la carriera.
A confermare la sparatoria, il padre Alonzo Adams. Un vicino avrebbe chiamato la Polizia, dopo aver sentito degli spari. Intorno alle 21:00 EDT, la polizia ha circondato la casa dei genitori di Adams. Hanno quindi trascorso diverse ore a negoziare con Adams e hanno inviato un robot per scansionare la casa. I genitori di Adams sono stati evacuati dalla casa e la polizia ha trovato Adams morto all'interno. La polizia ha trovato all'interno della casa sia una pistola calibro 45 che una pistola da 9 mm. 
Il medico rimasto ucciso Lesslie era un importante personalità locale che fondò due centri di assistenza. Aveva una rubrica medica settimanale per The Charlotte Observer ed era stato autore di libri di consulenza medica. Adams non aveva precedenti penali. Suo padre, Alonzo, ha suggerito che il Football potrebbe aver avuto un ruolo importante nella sparatoria affermando in un'intervista con WCNC-TV che quello sport "lo ha incasinato". Il presidente Joe Biden ha menzionato la sparatoria in un discorso inerente una riforma sull'uso delle armi l'8 aprile.


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martedì 11 giugno 2019

La Morte Di John Thomson e Lo Scontro Con Sam English (Old Firm)

John Thomson nacque a Kirkcaldy, in Scozia, il 28 gennaio 1909 e dopo aver lavorato in giovane età in miniera arrivò giovanissimo al Celtic: aveva appena 17 anni.
Non passò molto tempo affinchè Maley del Celtic gli conferisse il ruolo di portiere titolare, per via delle prestazioni non molto convincenti di Peter Shevlin. Le sue buone prestazioni gli fecero poi ottenere di conseguenza la convocazione con la nazionale scozzese ed il debutto arrivò nel maggio del 1930, a 21 anni (vittoria per 2-0 sulla Francia).
Il suo coraggio ai limiti dell’incoscienza esaltava la folla per via delle sue incredibili uscite sia aeree che sui piedi degli avversari.
Si ricorda anche una vittoria contro i maestri inglesi, quando John parò l'impossibile al super bomber Dixie Dean.
In una tournee negli USA venne etichettato come "miglior portiere al mondo".
Nello stesso anno contro l' l'Airdrieonians subì un gravissimo incidente in uno scontro di gioco con tanto di rottura di costole e mandibola.
La madre pregò lui di abbandonare il calcio ma non ne volle sapere.


LO SCONTRO FATALE CONTRO SAM ENGLISH
Il 5 settembre 1931, il Celtic fece visita ad Ibrox Park per affrontare i Rangers, nel crudo ed accesissimo Old Firm.
All’inizio del secondo tempo, in una giocata nell’area del Celtic, il giovane estremo difensore uscendo a valanga si scontrò rovinosamente con Sam English (attaccante dei Rangers).
Il ginocchio di English colpì violentemente il cranio del portiere.
Sebbene all’inizio sembrasse solamente un colpo (sebbene abbastanza duro), molti in campo cominciarono a temere subito il peggio.
Infatti, uno dei giocatori dei Rangers, realizzò sul campo che la vita del suo rivale era in serio pericolo.
Alcuni tifosi del Rangers esultarono per l'infortunio occorso all'avversario (infortunio che costrinse Thomson ad uscire sanguinante in barella) ma furono invitati a smetterla dal capitano Blues David Meiklejohn.
Il giocatore venne trasferito in un centro ospedaliero a Glasgow, dove accurate indagini mediche scoprirono che aveva riportato una rientranza sul cranio di 5 cm di diametro.
Quello stesso pomeriggio iniziò a ad avere terribili convulsioni e, nonostante un’operazione di emergenza proprio per ridurre la pressione intracranica, Thomson morì alle 9.25 di quella notte. Aveva appena 22 anni.
Furono 30.000 le persone che parteciparono ai funerali di John Thomson.
Quasi 80 anni dopo (nel 2008) grazie ad una petizione lanciata dallo scrittore Tom Greig, il suo nome venne inserito nella Scottish Football Hall Of Fame.
Per quanto riguarda l'autore della morte, Sam English, egli venne prontamente esonerato da ogni responsabilità, in quanto apparve chiara ai testimoni che lo scontro fu del tutto casuale.
Questo almeno dalle autorità.
Tuttavia, per il povero Sam la vita divenne un vero e proprio inferno quindi cominciò un terribile periodo di depressione.
Su alcuni terreni di gioco scozzesi poi, non fece che ricevere fischi di disapprovazione ed alla fine, decise per il suo bene agonistico di emigrare in Inghilterra, dove si ritirò nel 1938 ad appena 30 anni di età.



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domenica 25 febbraio 2018

Tutti I Wrestlers Morti In Giovane Età: Sul Ring e Non

Le tante morti nel Wrestling hanno riacceso i riflettori sulla lotta spettacolarizzata made in USA e sulle tragedie che l’hanno macchiata negli ultimi 30 anni.
L’abuso di steroidi anabolizzanti, antidolorifici e farmaci di varia natura pesa infatti nell’elenco degli atleti deceduti in circostanze diverse.
Ecco la striscia nera dei drammi che hanno scioccato tutti dagli anni 90 in poi.


WRESTLERS MORTI IN GIOVANE ETA'
David Von Erich, 10 febbraio 1984, malattia
David morì durante un tour con All Japan Pro Wrestling, prima che andasse a difendere la cintura del NWA United National Championship che vinse nel Texas sette giorni prima.
Inizialmente si parlò di un'overdose di sostanze stupefacenti mentre Ric Flair sostenne nella sua autobiografia che Bruiser Brody (amico di lungo termine di Von Erich) avesse rimosso le prove. Bill Irwin, disse invece che non era affatto legato alla droga, mentre la famiglia affermò che fu causato da una enterite acuta che è la causa documentata della morte elencata sul Rapporto Consolare della Morte fornito dall'ambasciata statunitense in Giappone.


Mike Von Erich, 12 aprile 1987, suicidio
Qualche giorno prima della sua morte fu arrestato per guida in stato d'ebrezza e possesso di droga. Il 12 aprile 1987, lasciò un biglietto d'addio indirizzato alla famiglia, poi si recò a Lake Dallas, dove morì per overdose di sonniferi (Placidyl) ed alcool.


Frank Goodish, 17 luglio 1988, omicidio
Brody era nello spogliatoio in attesa di disputare un match contro Dan Spivey, quando José Huertas González, ex lottatore, gli chiese di andare nelle docce per discutere di affari. Brody entrò nel locale docce e pochi minuti dopo scoppiò una forte lite tra i due, seguita da due gemiti, forti abbastanza da essere uditi in tutti gli spogliatoi. Atlas corse nelle docce e vide Brody piegato su sé stesso mentre si toccava lo stomaco. Atlas vide González che impugnava un coltello.
González, che sostenne sempre la sua innocenza, venne inizialmente accusato di omicidio di primo grado ma in seguito l'accusa venne commutata in omicidio involontario.
Nel gennaio 1989, González venne prosciolto da ogni accusa, avvalendosi della tesi della legittima difesa.


Chris Von Erich, 12 settembre 1991, suicidio
Frustrato per la morte di due suoi fratelli e per l'incapacità di sfondare ad alti livelli si sparò in testa, suicidatosi a 22 anni.


Buzz Sawyer, 7 febbraio 1992, overdose
Morì d'infarto per un overdose di droga, aveva 33 anni.


André The Giant, 27 gennaio 1993, infarto
A 46 anni scomparve il wrestler francese, all’anagrafe André René Roussimoff, noto per l’altezza e fisico imponente.


Kerry Von Erich "Texas Tornado", 18 febbraio 1993, suicidio
Questo lottatore ebbe una lunga storia di problemi di droga, e proprio le droghe giocarono un ruolo determinante nell'incidente motociclistico del 1986 che gli costò il piede destro.
Kerry Von Erich si suicidò sparandosi nel petto nel ranch di famiglia a Denton, Texas, il 18 febbraio 1993.
Kerry era in libertà vigilata a causa di una condanna per possesso di stupefacenti.
Fu il quarto fratello Von Erich a morire e il terzo per suicidio.


Owen Hart, 23 maggio 1999, tragedia
Lo show che anticipava una performance uccise il lottatore canadese, deceduto a 34 anni.
L'idea per il suo ingresso era quella di farlo calare dal soffitto appeso ad una corda; a pochi cm dal ring, Hart avrebbe fatto finta di incastrarsi con il meccanismo e sarebbe caduto faccia a terra in maniera goffa. Qualcosa però andò storto e il canadese precipitò da 24 metri di altezza, colpendo violentemente il turnbuckle con il petto schiantandosi sul ring.
Arrivò già morto in ospedale.


Yokozuna, 23 ottobre 2000, infarto
Nato come Agaputu Rodney Anoa’i, statunitense di origini samoane, 1.93 per 260 kg, morì a soli 34 anni.


The British Bulldog, 18 maggio 2002, infarto
Nato come David Boy Smith, è deceduto a 39 anni.


Mr.Perfect, 10 febbraio 2003, droga
Alias Curt Hennig, il suo decesso a 44 anni è ricondotto ad intossicazione dalla cocaina, ma il padre parlò di steroidi e antidolorifici.


Road Warrior Hawk, 19 ottobre 2003, infarto
Anche Michael James Hegstrand si spense per arresto cardiaco.


Crash Holly, 6 novembre 2003, suicidio
Nato come Michael John Lockwood, si tolse la vita a 32 anni.
Anche se la sua morte è sempre stata avvolta dal mistero, visto che in un primo momento si parlò di coma etilico e di soffocamento nel suo proprio vomito durante la notte (a seguito di una colossale ubriacata).


Big Boss Man, 22 settembre 2004, infarto
Alias Raymond Traylor, perì a 42 anni per lo stesso motivo di Booker.


Chris Candido, 28 aprile 2005, malattia
Una trombosi fu fatale per Chris Candito, morto a 33 anni.


Eddie Guerrero, 13 novembre 2005, infarto
L’amatissimo wrestler messicano e statunitense morì a 38 anni per arresto cardiaco.


Earthquake, 7 giugno 2006, malattia
John Anthony Tenta, a 42 anni, non vinse la sua battaglia contro il cancro.


Bam Bam Bigelow, 19 gennaio 2007, droga
Scott Charles Bigelow morì a 45 anni per overdose di cocaina ed altre droghe.


Chris Benoit, 24 giugno 2007, suicidio
Un dramma personale coinvolse invece il canadese a 40 anni, due giorni dopo l’assassinio della moglie Nancy e del figlio Daniel.


Andrew James Robert Patrick Martin "Test", 13 marzo 2009, overdose
Venne trovato privo di vita nella sua casa di Tampa (Florida) per un overdose di oxycodone.


Mitsuharu Misawa, 13 giugno 2009, tragedia
Come Owen Hart, morì sul ring a 47 anni, a seguito di un brutto colpo alla testa durante un incontro.


Umaga, 4 dicembre 2009, infarto
Un arresto cardiaco privò della vita ad Edward Fatu a 36 anni.
Il samoano era stato sospeso per l'utilizzo di doping.


Lance Cade, 13 agosto 2010, cardiomiopatia
Lo statunitense Lance McNaught morì a soli 29 anni.


El Gigante, 22 settembre 2010, malattia
L’argentino Jorge Gonzàlez a 44 anni non sopravvisse a complicazioni derivanti da diabete e gigantismo.


“Macho Man” Randy Savage, 20 maggio 2011, infarto
Un incidente d’auto dettato da un arresto cardiaco portò con sé Randall Mario Poffo a 58 anni.


Doink The Clown, 28 giugno 2013, droga
Matt Osborne, 55 anni, non sopravvisse ad un’overdose.


Nelson Frazier “Viscera” , 18 febbraio 2014, infarto
Conosciuto da tutti come Viscera, alto 2.06 m per 250 kg, morì improvvisamente nel 2014.


The Ultimate Warrior, 8 aprile 2014, infarto
James Brian Hellwig morì per un attacco cardiaco.
Curiosamente nel 1992 quando Warrior ritornò in WWF a WrestleMania VIII dopo circa otto mesi d'assenza dalle scene (la sua ultima apparizione era stata a SummerSlam 1991), a causa del drastico cambio d'immagine (meno massa muscolare, e capelli più corti e biondi), iniziarono a circolare voci tra i fan che il nuovo Ultimate Warrior fosse un altro lottatore ad interpretare il ruolo.
Alcuni ipotizzarono che Warrior fosse morto a causa di un collasso del fegato dovuto all'abuso di steroidi o dello scoppio di una vena del braccio che avrebbe bloccato la circolazione sanguigna.



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domenica 11 febbraio 2018

La Storia Di Bill Masterton: L'Unico Uomo A Morire Sul Ghiaccio (NHL)

Bill Masterton, nato a Winnipeg nel 1938, fu l'unico giocatore a morire su un palazzetto di ghiaccio per le ferite subite durante una partita NHL.
Forse però la sua morte non fu vana.
Infatti la sua morte, ormai 50 anni fa, aumentò la consapevolezza dei rischi di commozioni non diagnosticate dando maggiori responsabilità alla NHL per affrontarle.
Come molti ragazzi canadesi cresciuti negli anni '50, Masterton ascoltava le trasmissioni radiofoniche di sabato sera di "Hockey Night in Canada" e sognava che Foster Hewitt dicesse: "Masterton tira, segna!"
Quel sogno lo portò attraverso l'Hockey junior nella sua città natale di Winnipeg e tre anni dopo all'Università di Denver.
Finisce nelle leghe minori e sembra che il suo sogno possa infrangersi ma l'espansione della NHL da 6 a 12 squadre nel 1967/68 riaccese il suo sogno ormai sopito.
Si era mantenuto in forma giocando a una squadra amatoriale, la St.Paul Steers, e con la squadra nazionale degli Stati Uniti.
Quando i dirigenti del Minnesota, lo invitarono a una provino, Masterton sfruttò la sua seconda possibilità (tra l'altro realizzò il primo gol nella storia della franchigia), diventando il centro titolare della squadra.


LA NOTTE FATALE
In quella fatale notte al Met Center il 13 gennaio 1968, il centro dei Minnesota North Stars, stava giocando contro gli Oakland Seals.
Bill portò il disco oltre la linea blu e tagliò verso destra mentre i difensori dei Seals (Larry Cahan e Ron Harris) lo chiusero.
Uno dei loro bastoni si intrecciò con i pattini di Masterton che avanzando, perse l'equilibrio.
Non vide l'altro difensore, che lo colse con un check pulito che lo fece però cadere all'indietro. Masterton, che non indossava un casco, battè la parte posteriore della sua testa sul ghiaccio.

"Sembrava che una mazza da Baseball colpisse una palla", ricordò il suo compagno di squadra André Boudrias.

Ken Lindgren, un fan che stava vedendo la partita, disse: "Abbiamo visto la sua testa rimbalzare. Dopo non si è più mosso"

Boudrias aiutò l'allenatore della squadra a occuparsi di Masterton.
Portarono Masterton su una barella e un'ambulanza lo portò di corsa all'ospedale di Fairview Southdale, a 7 miglia di distanza.
Boudrias: "I suoi occhi erano grigi in quel momento era come un film dell'orrore. Sapevo che era finito"

Un team di medici dell'ospedale trattò Masterton con steroidi e diuretici, ma fu tutto inutile.
Comprendendo che era ormai era finita, i genitori di Masterton, che erano arrivati ​​da Winnipeg dopo aver saputo dell'incidente, e sua moglie Carol, decisero di rimuovere Masterton dal supporto vitale. Alle 1:55 del mattino, il 15 gennaio 1968, quasi 30 ore dopo aver battuto la testa sul ghiaccio, Bill Masterton morì all'età di 29 anni.
Sette ore dopo, quando il medico legale della contea di Hennepin eseguì un'autopsia, scoprirono la vera causa della morte di Masterton.
Nella settimana prima della sua ultima partita, Masterton si era lamentato con sua moglie e diversi compagni di squadra per i mal di testa.
La notte prima della partita di Oakland, la famiglia di Masterton si era radunata nella casa del loro vicino, portiere dei North Star, Cesare Maniago, per celebrare il suo 29 ° compleanno.
Masterton disse al suo amico che aveva avuto dei forti mal di testa.
Insomma ad ucciderlo non fu la forte botta ma l'accumulo delle stesse anche nelle partite precedenti.
Masterton fu una sfortunata vittima dell'ignoranza del suo tempo.
Mentre Walter Bush, uno dei proprietari dei North Stars, lo vedeva immobile sul ghiaccio, non pensava che Masterton avesse subito una commozione cerebrale.

"Non pensavamo che fosse così grave"

La consapevolezza delle lesioni cerebrali e di come trattarle ha fatto molta strada da allora.
Così il protocollo NHL, avviato nel 2011, vieta ai giocatori "feriti" di tornare in campo se ancora convalescenti o doloranti.
Ma questo non è accaduto abbastanza velocemente, visto che un gruppo di oltre 120 ex giocatori della NHL, tra cui Bernie Nicholls, Mike Peluso e Steve Payne, hanno citato in giudizio la NHL accusata di mettere a rischio la loro salute neurologica.
Loro e molti altri sostengono che il campionato potrebbe fare di più per proteggere i suoi giocatori dal tornare in azione troppo presto.
Tornando a Masterton, il medico legale della contea di Hennepin trovò la prova di un precedente infortunio sul lato sinistro del cranio di Bill.
Dichiara il referto dell'autopsia: "C'è stato un colpo alla tempia sinistra in una partita giocata alcuni giorni prima della ferita mortale e si dice che il defunto abbia lamentato mal di testa nella parte sinistra della testa".

Quando la testa di Masterton colpì il ghiaccio al Met Center, non ci fu alcuna frattura cranica, ma il suo cervello si gonfiò molto rapidamente, evidenziato dalle sue pupille dilatate e dalla pressione sanguigna elevata che indicava una ferita precedente.

Dottor Jesse Corry: "Ciò che ha ucciso quest'uomo è stata la sindrome del secondo impatto".

Quando il cervello non è completamente guarito da una lesione precedente, un colpo successivo può causare un gonfiore improvviso e spesso fatale.
Corry non pensa che l'entità del gonfiore sia stata causata dall'impatto al Met Center.
Né ha visto prove di CTE, la progressiva malattia degenerativa trovata postuma nel cervello di quasi 87 giocatori su 91 NFL che hanno subito colpi alla testa.
"È molto raro vedere quel livello di gonfiore nel cervello provocato da una singola lesione. Masterton probabilmente ha avuto un gonfiore in precedenza, quindi se avesse avuto un secondo infortunio sarebbe stato catastrofico".

Dopo la morte di Masterton, i North Stars istituirono una borsa di studio con il suo nome.
Il team ritirò anche il suo n.19, una tradizione che la franchigia ha continuato ad onorare anche quando si trasferirono in Texas, diventando Dallas Stars.
Lo spettro della morte di Masterton si impadronì dell' All-Star Game, giocato a Toronto il giorno successivo, il 16 gennaio 1968.
Il discorso fu incentrato sull'introduzione dei caschi.
Masterton indossava un casco quando giocava al college di Denver perché i regolamenti NCAA richiedevano ai giocatori di indossarli, ma non ne indossava uno da professionista (non era obbligatorio).
Solo una manciata di giocatori della NHL li indossava ai tempi, incluso il compagno di squadra di Masterton, Boudrias.

Boudrias: "Proteggi i tuoi gomiti, fianchi, ginocchia e mani, ho pensato, perché non proteggere la testa?"

Nel 1968, Boudrias era l'unico dei North Stars che indossava un elmetto.
L'allenatore Wren Blair era sempre stato contrario a ciò.
Lui e altri lo consideravano un segno di debolezza.
"Mi venne chiesto di toglierlo" disse Boudrias.
Nella stagione successiva, Blair scambiò Boudrias, che aveva segnato il secondo maggior numero di punti per la squadra nella sua prima stagione, citando un calo della sua produzione offensiva.
Boudrias invece è sempre stato convinto che la sua insistenza nell'uso dell'elmetto abbia influenzato la decisione di Blair.


L'INTRODUZIONE DEL CASCHETTO
Andre Boudrias, uno dei pochi giocatori nel 1968 a indossare un casco, crede che indossarne uno avrebbe salvato la vita a Bill Masterton.
La NHL impiegò più di un decennio per abbracciare la logica di Boudrias.
Per la stagione 1979/80, la lega finalmente rese obbligatori i caschi, permettendo però a coloro che avessero firmato contratti pro prima del 1 giugno 1979, l'opzione di non indossarli.


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giovedì 2 novembre 2017

Quando Alan Minter Uccise Angelo Jacopucci (Boxe)

Alan Minter o meglio noto come “Boom boom”, classe 1951, di Crawley è ricordato per aver ucciso (involontariamente) un avversario sul ring.
Peso medio con un sinistro devastante e tanto ardore che gli ha consentito di vincere pur senza dare spettacolo, passa professionista fortedel titolo britannico di campione della sua categoria.
Batte il connazionale Maurice Thomas il 31 ottobre 1972 alla Royal Albert Hall di Kensington per KO. alla sesta ripresa, per poi infilare una lunga serie di successi interrotta da una prima sconfitta con lo scozzese Don McMillan il 5 giugno 1973.
A fine carriera saranno 9, a fronte di 39 vittorie e un “no contest” contro Jan Magdziarz.
E così, dopo aver conquistato il titolo britannico dei pesi medi battendo ai punti Kevin Finnegan il 4 novembre 1975, infine Minter ha l’occasione per mettersi in bacheca quel titolo europeo sfuggito da dilettante, quando il 4 febbraio 1977, al Palazzo dello Sport di Milano, demolisce in cinque round Germano Valsecchi.
Ma sono i successi con Tony Licata, sfidante iridato battuto da Carlos Monzon al Madison Square Garden nel giugno del 1975, e con Sugar Ray Seales, campione olimpico dei pesi welter a Montreal nel 1976, così come una franca vittoria contro Emile Griffith, ad inserire Minter tra i pretendenti più accreditati per un combattimento per il titolo mondiale dei pesi medi.


LA MORTE DI JACOPUCCI SUL RING
Il giorno che però lo consacrerà alla storia (anche se dalla porta sbagliata) è però il drammatico 19 luglio 1978, data che segnerà la sua vita sua e soprattutto, tragicamente, quella del suo avversario, Angelo Jacopucci.
Allo Stadio Municipale di Bellaria, nel corso della 12esima ripresa, l’italiano abbassa improvvisamente la guardia, consentendo a Minter di colpirlo ripetutamente e duramente al volto. Jacopucci sbanda con la testa, rimbalzando all’indietro, sottoposta a traumi evidenti e i muscoli del collo ormai rilassati, impossibilitati ad offrire la seppur minima resistenza.
A quel punto ci sarebbero tutti i presupposti per una immediata interruzione del match.
Ma né l’arbitro, né i secondi, né il medico a bordo ring lo ritengono opportuno. Il pugile italiano finisce al tappeto e viene sconfitto per KO.
Jacopucci, tuttavia, si rialza dopo il conto totale, rassicurando tutti sulle sue condizioni.
Questa incapacità di prevenire il peggio gli sarà fatale.
Non si sottrae, infatti, poche ore dopo l’incontro, alla cena di festeggiamento del neocampione d’Europa e, davanti allo stesso Minter, avverte improvvisamente forti attacchi di vomito.
Una volta tornato in albergo finisce improvvisamente in coma.
Trasportato immediatamente all’ospedale “Bellaria” di Bologna, il pugile di Tarquinia viene dichiarato morto per emorragia cerebrale nella mattina del 22 luglio 1978.
Aveva solo 29 anni.


MINTER CAMPIONE DEL MONDO
Minter diviene campione del mondo 2 anni dopo, nel 1980, battendo Vito Antuofermo.
Il 28 giugno dello stesso anno vede i due rivali si incrociano ancora alla Wembley Arena di Londra. Minter domina il match costringendo Octavio Meyran, arbitro dell’incontro, ad interrompere il combattimento all’ottavo round, confermando il titolo dell’inglese.
Non resta, a questo punto, per legittimare le stimmate di numero 1 del mondo del pesi medi, che affrontare proprio Hagler, in un match programmato sempre alla Wembley Arena, il 27 settembre 1980.
Minter è dato leggermente favorito e i 12.000 spettatori presenti all’evento, rigurgitanti nazionalismo a piene mani, si attendono la recita del beniamino di casa.
Ma, inatteso, Hagler è padrone del match, sommergendo il malcapitato campione di colpi che ne provocano numerosi tagli vicino agli occhi.
attorno all’occhio sinistro è definitivo, dopo 1’45” dall’inizio del terzo round, e nonostante il parere contrario dell’angolo di Minter, il panamense Carlos Berrocal interrompe il match assegnando vittoria e cintura iridata allo sfidante.
Il pubblico non ci sta, anche perchè le dichiarazioni di Hagler prima dell’incontro non sono state certo improntate al fair-play “non stringo la mano all’avversario che devo affrontare il giorno dopo“, in risposta al “non voglio essere detronizzato da un negro” di Minter, lanciando lattine e bottiglie sul ring e costringendo i due pugili ad uscire dall’impianto sotto la scorta della polizia.


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martedì 28 marzo 2017

Il Massacro Di Croke Park: IRA Contro Black And Tans (1920)

Siamo a Dublino, 21 novembre 1920, precisamente a Croke Park.
Tempio degli sport Gaelici.
Grazie alla "Rule 42" erano banditi Calcio, Rugby, Cricket e compagnia cantante (le nazionali irlandesi giocavano a Lansdowne Road).
Perchè banditi? Perchè provenivano da una cultura (quella inglese) con cui gli irlandesi erano in guerra.
Ai tempi infatti l’Irlanda era nel pieno della sua Guerra di Indipendenza, che nel 1921 le avrebbe permesso di lasciare il Regno Unito, diventando una repubblica.
Il conflitto tra i nazionalisti irlandesi e l’Impero Britannico iniziò nel 1919 e assunse la forma di una guerriglia urbana e non solo.


FORZE IN CAMPO
Le forze britanniche spiegate in Irlanda erano costituite dalla polizia Royal Irish Constabulary, dalle forze paramilitari Black And Tans e dalle divisioni ausiliari Auxies.
Dall’altra parte combatteva l’IRA (Irish Republican Army), l’Esercito Repubblicano Irlandese.
I Black And Tans si costruirono in breve tempo una reputazione negativa, a causa delle loro pratiche illegali e inumane fatte di violazioni, saccheggi, attentati, torture e uccisioni.
Inoltre, a Dublino, queste truppe paramilitari crearono una rete di agenti speciali, il cui compito era infiltrarsi nell’IRA (The Cairo Gang perché gli alti ufficiali che ne facevano parte erano stati precedentemente impegnati in missioni segrete in Egitto).


L'ATTACCO DELL'IRA E LA CONTROFFENSIVA
La mattina del 21 novembre, l’IRA decise di attaccare la Cairo Gang, lasciando sul terreno un totale di 13 morti (11 dei 18 componenti dell’intera pattuglia più 2 auxies).
Un gran successo per l’IRA che, però, portò ad una immediata rappresaglia da parte del governo britannico e del suo braccio armato.
Quella stessa sera era in programma un match di football gaelico a Croke Park, tra il Dublíno e il Tipperary.
La Gaelic Athletic Association e le autorità irlandesi decisero di non rinviare il match nonostante il clima di tensione che si respirava nella capitale irlandese.
Uno dei soldati inglesi che avrebbe partecipato al massacro di Croke Park svelò successivamente come la sorte decise quale dovesse essere il luogo prescelto per la vendetta: una monetina lanciata in aria per decretare se bisognava andare a uccidere a Sackville Street (una delle vie più frequentate dell’epoca) o nello stadio di Dublino in cui era in corso la partita.
La monetina scelse Croke Park.


IL MASSACRO DI CROKE PARK
Allo stadio c’erano circa 10.000 persone e il match era iniziato da alcuni minuti, quando i Black And Tans si presentarono a metàcampo e cominciarono a far fuoco.
Nello stesso momento una mitragliatrice sparava appena fuori l’entrata dello stadio.
Tutto questo provocò panico tra gli spettatori che cercavano di fuggire dal fuoco incrociato.
Il risultato fu di 14 víttime e 65 feriti.
Tra le vittime anche tre bambini di 10, 11 e 14 anni, una donna che si sarebbe dovuta sposare cinque giorni dopo e Michael Hogan, capitano del Tipperary, a cui sarebbe poi stata dedicata una delle gradinate dello stadio, la Hogan Stand.
Fu un massacro contro civili inermi, lo sdegno mostrato dalle altre nazioni fu totale.
Il governo inglese subì pesanti critiche, sull’altro versante il tutto, invece, determinò un maggior consenso popolare sull’IRA.
Fu il primo tragico "Bloody Sunday" della storia irlandese.
Poco più di 50 anni dopo, il secondo Bloody Sunday a Derry (in Irlanda del Nord) nel 1972 (13 morti).
Per approfondire: James McClean, Il Poppy e Bloody Sunday 1972


RUGBY A CROKE PARK
Da quel giorno del 1920 si può dire che Croke Park abbia vissuto di una vita propria, poi nel febbraio 2007 le circostanze hanno fatto sì che lo stadio vivesse un’altra giornata a suo modo storica.
Con Lansdowne Road in ricostruzione per dar vita all’attuale Aviva Stadium e in previsione del Sei Nazioni 2007,  la selezione di Rugby chiede alla GAA l’uso di Croke Park per disputare le partite interne.
Un fatto senza precedenti perché mai uno degli sport stranieri è entrato nella cattedrale degli sport gaelici.
Per fornire questa autorizzazione si rese addirittura necessario modificare lo statuto della GAA, che all’articolo 21 proibisce esplicitamente la disputa di sport britannici, tipo Rugby, Football o Cricket, in stadi gestiti della federazione degli sport gaelici.
Inoltre, Croke Park era nel frattempo divenuto un importante simbolo del nazionalismo irlandese, molto vicino ai settori repubblicani e cattolici.
Aprire le sue porte ai britannici fu dunque una decisione molto sofferta.
Vengono convocate manifestazioni e congressi per invitare a fischiare God Save The Queen in occasione del match contro l’Inghilterra.
Eh sì perché l’esordio di Croke Park nel Rugby è avvenuto l’11 febbraio 2007 nel match contro la Francia, ma due settimane dopo, il 24 febbraio, a Dublino erano attesi gli inglesi.
Arriva il momento degli inni e la risposta di Croke Park è un’unica voce che all’unisono intona Amhrán na bhFiann, l’inno nazionale irlandese.
Quello che poi succede sul terreno di gioco mostra ancor più chiaramente che gli spettatori non sono di fronte a una partita normale, ma a una sorta di vendetta storica: gli irlandesi, capitanati da Ronan O’Gara infliggono quel giorno la sconfitta più dura agli inglesi in 130 anni di storia del torneo.
Il risultato finale è 43-13.
Oltre ad aver ospitato match di Rugby tra 2007 e 2009, anche il Calcio c'ha messo piede nello stesso periodo.



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lunedì 13 marzo 2017

La Maledizione Del Motherwell e La Scottish Cup Del 1991

Per molti la sfortuna o gli eventi negativi non esistono ma forse il Motherwell non è dello stesso avviso: infatti non deve aver portato benissimo la splendida vittoria degli Steelmen nella Scottish Cup del 1991 (la seconda della loro storia dopo quella del 1952), ai danni del Dundee Utd a seguito di uno spettacolare 4-3.
Infatti dopo quello splendido successo ci furono ben 4 morti improvvise per altrettanti giocatori di quella generazione fenomenale che aveva portato sul "trono" di Scozia questo piccolo club del Nord Lanarkshire.


QUATTRO GIOCATORI MORTI IN GIOVANE ETA'
Nel 1995 toccò all'ala sinistra Davie Cooper che morì all'età di 39 anni per via di un'emorragia celebrale.
Lo si ricorda anche come giocatore dei Glasgow Rangers con i quali vinse 3 campionati scozzesi, 8 Coppe di Lega e 3 Scottish Cup (4 in totale comprendendo la citata con il Motherwell).
Nel 2007 al capitano Phil O'Donnell (35 anni) morto addirittura in campo.
O'Donnell aveva cominciato a giocare per gli Steelmen a 17 anni ed era considerato una leggenda del club.
A 18 anni segnò proprio in finale contro il Dundee Utd.
Sembrava in rampa di lancio per una grande carriera ma il trasferimento al Celtic non gli giova più di tanto (con i quali però vincerà un'altra Scottish Cup nel 1995 e un campionato nel 1998).
Dopo una brevissima apparizione in Inghilterra con lo Sheffield Wednesday, torna a casa.
Anche con il Motherwell le cose non vanno benissimo per via dei tantissimi infortuni, ad ogni modo diventa una bandiera del club ed è amato da tutti.
Nel 2006 ormai 34enne si dice certo di riuscire a giocare alti 4-5 anni.
Viene chiamato da tutti "Uncle Phil" (infatti David Clarkson era sua suo nipote).
Per ironia della sorte morirà come detto nel 2007, dopo aver segnato una rete e sempre contro il Dundee Utd (stavolta finirà 5-3).
L'ex CT della Scozia Craig Brown paragonò lo stile di gioco di O'Donnell a Steven Gerrard.
Nel 2008 toccherà a Jamie Dolan (39 anni) per via di un attacco di cuore mentre faceva jogging (soffriva di ischemia cardiaca, malattia ereditata dal padre, morto a 44 anni).
Totalizzò quasi 200 presenze con Motherwell.
Giocò anche per il Dundee United, Dunfermline Athletic, Livingston, Forfar Athletic e Partick Thistle.
L'ultimo a morire fu Paul Mcgrillen (37 anni) nato e cresciuto a Fir Park.
Mcgrillen, una settimana prima di morire, aveva disputato un'amichevole proprio contro il Motherwell (ai tempi giocava nelle file del Bathgate Thistle).
Fu un giocatore molto impegnato nel sociale e disputò diverse partite per beneficenza.
Oltre che nel Motherwell (1990-1995) giocò per diverso tempo anche nel Falkirk (1995-1998).
Il corpo di McGrillen venne trovato senza vita nella sua casa di Hamilton, il 29 giugno 2009.
Per la polizia nessuna anomalia o sospetto: si trattò di suicidio (venne trovato impiccato).

Motherwell: "Siamo profondamente addolorati di annunciare la morte del nostro ex attaccante Paul McGrillen. Egli fece parte della truppa di Fir Park ed emerse nella famosa squadra del 1991 che vinse la Coppa di Scozia"


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sabato 29 ottobre 2016

Jose Hernandez e L'Incidente Mortale: Cocaina ed Alcool Nel Suo Corpo (MLB)

La fine, per José Fernandez (pitcher dei Miami Marlins), è arrivata tragicamente nel momento probabilmente migliore della sua vita, dopo tante peripezie vissute a livello personale.
Morto ad appena 24 anni in un incidente in barca al largo delle coste della Florida, stava infatti per diventare papà.
L'ultimo commovente post social di Fernandez riguardava proprio la famiglia che si stava allargando.
Non solo: dopo una lunga serie di vicissitudini familiari, il giovane lanciatore, di origine cubana, si era riconciliato da poco con la nonna che per anni non aveva mai visto.
Fernandez era arrivato negli USA da quando aveva 14 anni, dopo alcuni tentativi di fuga dall’isola.
Il ragazzo provò almeno quattro volte la fuga clandestina ma le prime tre terminarono con il suo arresto e di sua madre: si dice che durante la quarta volta, quella andata a buon fine, mamma Fernández, a causa del mare mosso, cadde in acqua e il piccolo José si tuffò per salvarla.
Storia che ricorda quella di un altro cubano nonché amico di Fernández, Yasiel Puig dei Los Angeles Dodgers, quando si affidò ad associazioni criminali e dopo un viaggio non tranquillissimo (condito da continue sparatorie), fu costretto a vivere sotto scorta nei primi anni californiani.
Una volta giunto negli States, il patrigno di José, lo introdusse al Baseball americano.
Frequentò l’highschool a Tampa e poi nel 2011 divenne la prima scelta dei Marlins.
Si era trasferito a Tampa ed era stato selezionato nel draft del 2011 proprio dalla squadra di Miami.
Quest’anno aveva un record di 16 vittorie e 8 sconfitte, con un'ERA di 2.86, 253 strikeout, il miglior per media con 12.49 ogni 9 inning.
A 20 anni era stato eletto rookie dell’anno 2013 nella National League.
Nel maggio 2014 aveva avuto un problema ad un gomito ed era tornato in Major il 2 luglio 2015, anno in cui aveva ottenuto la cittadinanza americana.


L'INCIDENTE MORTALE
Cubano di Villa Clara, alle 3 del mattino insieme ad altre due persone, si trovava al largo di Miami Beach (era il 25 settembre 2016), quando l’imbarcazione di 32 piedi, s’è capovolta nello schianto con degli scogli.

La motovedetta della Guardia Costiera ha faticato a trovare i corpi delle 3 vittime e dato subito l’allarme.
Devastati i compagni della squadra, ma anche gli avversari che volevano bene al giocatore.
"L'organizzazione dei Miami Marlins è devastata dalla tragica perdita di José Fernandez. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono rivolte verso la famiglia del giocatore che sta vivendo un momento davvero difficile" è la nota pubblicata dalla società della Florida in occasione della tragica circostanza.
La partita in programma tra i Miami Marlins e gli Atlanta Braves è stata di conseguenza cancellata.
La sua perdita ha lasciato un solco importante.
Da tipico caraibico era un ragazzo solare, sempre sorridente e amico di tutti, soprattutto di Aledmys Diaz, SS dei St.Louis Cardinals.
Provenienti entrambi da Santa Clara, vivevano nella stessa strada (le loro abitazioni erano separate solo da tre case).
Fu proprio su quel cemento dissestato che i due iniziarono la loro carriera.
José Fernández, oltre che ad essere un predestinato, era anche un simbolo per la famosissima comunità cubana di Miami.


COCAINA ED ALCOL
Il 26 ottobre 2016, in un mandato di perquisizione, le autorità di Miami-Dade County hanno dichiarato che un forte odore di alcol era stato trovato sul corpo di Fernandez e degli altri due uomini in barca.
Inoltre, secondo gli investigatori il conducente della barca stava viaggiando ben oltre i limiti consentiti di velocità e in stato d'"incoscienza aggravata per via del consumo di alcol".
Inoltre, cocaina e il doppio del limite consentito di alcol sono stati trovati nel corpo di Fernández, al momento della sua morte.



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lunedì 12 settembre 2016

Il Celtic, La Storia Dei Lisbon Lions e La Morte Di Jock Stein

I primi calci dati ad un pallone, furono tirati in Inghilterra ma Glasgow e la Scozia arrivò subito dopo.
La fondazione del Celtic risale al lontano 1887, quando un frate appartenente alla chiesa cattolica di Santa Maria raccolse una squadra che sostenesse iniziative benefiche a favore dei cittadini cattolici della città di Glasgow.
Club radicato con il cattolicesimo, anche i colori lo dimostrano.
Negli anni, la rivalità non solo cittadina ma anche religiosa con l’altra squadra cittadina dei Rangers ha caratterizzato la vita calcistica del Celtic.
Vecchia faccenda, ovvero Old Firm, in Scozia ma le due squadre sono state protagoniste anche in Europa.
Celtic in particolare, avendo vinto la Coppa dei Campioni nel 1967.
Primo club britannico a riuscirci.


LISBON LIONS
Il 1966-67 fu l'anno per antonomasia per il Celtic (e il sogno per qualsiasi club calcistico): campionato, coppa nazionale, Coppa di Lega e Glasgow Cup, tutti trofei finiti nella bacheca dei Bhoys.
Più la Coppa dei Campioni appunto.
L'arteficie di tutto Jock Stein, primo manager protestante nella storia della società.
Stein e il suo 4-2-4.
Dall' 1 all' 11: Craig, Gemmell, Murdoch, McNeill, Clark, Johnstone, Wallace, Chalmers, Auld, Lennox.
O se preferite The Lisbon Lions.
Le stelle della squadra erano sicuramente Johnstone, Chalmers, Gemmell e Lennox.
La particolarità di questa squadra, fortissima, è che tutti i giocatori erano scozzesi.
Non solo.
Erano nati e cresciuti a non più di 30 chilometri da Parkhead, ai più noto come Celtic Park.
Insomma tutti di Glasgow e dintorni.
Provenienti tutti dal vivaio, non tutti cattolici però.
Per un tifoso dei Bhoys quella data rappresenta il punto più alto mai raggiunto nella storia del club battendo l' Inter del catenacciaro Helenio Herrera.
Per il Celtic rimane anche l’unica messa in bacheca, ciliegina sulla torta di una stagione in cui il club vinse tutto.
Il Celtic fu plasmato a immagine e somiglianza di Stein, squadra offensiva, veloce e con valori tecnici elevati.
La formula dell’allora Coppa dei Campioni non prevedeva la fase a gironi, ma un primo turno eliminatorio (composto di andata e ritorno) seguito dagli ottavi di finale, quarti, semifinali fino ad arrivare alla finale.
La marcia trionfale del Celtic iniziò contro gli svizzeri dello Zurigo, battuti per 2-0 e 0-3.
Vi furono poi gli ottavi di finale, dove fu la volta del Nantes, regolato con un doppio 3-1.
Le cose si complicarono nei quarti, quando il Vojvodina batterono i biancoverdi per 1-0, ma nella gara di ritorno in un Parkhead pieno all’inverosimile un gol allo scadere fissò il punteggio sul 2-0, aprendo le porte della semifinale.
Tra il Celtic e la finale di Lisbona c’erano i cechi del Dukla Praga.
In Scozia terminò 3-1, 0-0 invece a Praga.
In finale invece c'era l’Inter del catenacciaro Herrera, che aveva sbattuto fuori i campioni uscenti del Real Madrid.
Stein sapeva dei numerosi sacrifici che migliaia di tifosi avrebbero sostenuto per non perdersi quel momento storico.
Sapeva che il suo gioco spettacolare ed aggressivo si sarebbe scontrato con il catenaccio eretto da Herrera.
Eppure, disse semplicemente ai suoi giocatori “Andate in campo e divertitevi”.
Solito 4-2-4 di ordinanza ma l’inizio non fu incoraggiante, con l’Inter che passò in vantaggio dopo pochi minuti grazie a un calcio di rigore di Mazzola.
I Bhoys pareggiarono a metà della ripresa con Gemmell (tiro al volo dal limite dell’area) e piazzarono la zampata vincente a 5’ dalla fine con una deviazione sottoporta di Chalmers.
Finì 2-1 e quando l’arbitro emesse il triplice fischio una folla bianco-verde ebbra di gioia si riversò in campo a festeggiare.
Da Dublino a Glasgow, tutto i tifosi fecero festa nei pub e nelle strade, celebrando quegli eroi di Lisbona che passarono alla cronaca come The Lisbon Lions per la tenacia e la voglia di vincere dimostrate in quella finale.
11 scozzesi, cresciuti tirando calci al pallone a non più di 30 chilometri da Parkhead, diretti dal primo manager non cattolico nella storia del Celtic che elogiò a fine partita i suoi ragazzi: “Abbiamo vinto meritatamente, ce l’abbiamo fatta giocando un calcio meraviglioso, puro e fantasioso. Sono l’uomo più felice del mondo, soprattutto per il modo con cui abbiamo vinto”.
Tra il 1966 e il 1974 arrivarono anche 9  titoli nazionali consecutivi, 5 FA Cup, 5 Coppe di Lega.
A fare da cornice, un’altra finale nel 1970 (battuti dal Feyenoord) e due semifinali di Coppa dei Campioni.
Ai Lisbon Lions fu dedicata una stand del Celtic Park, idem al manager Jock Stein.


LA MORTE IN PANCHINA DI JOCK STEIN
Jock Stein, dopo una breve parentesi con il Leeds, successivamente divenne CT della Scozia, infondendo la propria filosofia anche alla Nazionale.
Il 10 settembre 1985, al Ninian Park di Cardiff in Galles, si giocava Galles v Scozia, incontro decisivo per la qualificazione ai Mondiali di Messico ’86.
Agli scozzesi, privi di qualche giocatore, sarebbe bastato un pareggio per accedere agli spareggi contro la modesta Australia, invece il Galles era obbligato a vincere.
All’ 81, con un gol di Cooper (Rangers), su rigore, la Scozia pareggiò il gol del gallese Mark Hughes.
Stein, dopo aver sfogato la propria tensione contro un fotografo che gli aveva ostruito la visuale del rigore, ebbe un improvviso attacco cardiaco.
A nulla servirono i soccorsi.
Morì sul campo, pochi minuti dopo.
Terminato il match, nel manto erboso circolò subito la notizia dello svenimento del Ct Stein, che prima di accasciarsi al suolo si era portato le mani al petto.
Le telecamere lo inquadrarono per un attimo mentre venne portato negli spogliatoi.
Il clima di euforia dei giocatori fu presto rimpiazzato dal gelo, quando il giovane Alex Ferguson (Aberdeen), collaboratore di Stein e non ancora allenatore del Manchester United, raccontò cosa era accaduto al momento del triplice fischio.
La notizia della morte del tecnico raggiunse i giocatori negli spogliatoi, quando Ferguson ne diede l’annuncio. «Calò il silenzio», raccontò il difensore Alex McLeish: «Nessuno parlò per un’ora negli spogliatoi, così come nessuno parò nella strada per l’aeroporto».
I giocatori furono sconvolti, così come fu sconvolto lo stesso Ferguson, che considerava Stein il suo mentore.
La Scozia sarebbe andata in Messico, dopo aver vinto lo spareggio, guidata in panchina da proprio da quell' Alex Ferguson che poi con il Manchester Utd diverrà l'allenatore più vincente di tutti i tempi della storia del calcio.


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