Tony Adams, il roccioso difensore che per quasi un ventennio difese i colori dell’ Arsenal, che con la maglia dei Gunners soltanto in Premier League totalizzò 504 presenze e che fu a lungo capitano della nazionale inglese, con la quale scese in campo 66 volte.
Stopper ruvido e tostissimo di scuola anglosassone: 4 Premier League, 3 Coppe d’Inghilterra, 2 Coppe di Lega, 3 Charity Shield e una Coppa delle Coppe.
L’ idillio tra Tony (nato ad Havering il 10 ottobre 1966) e i Gunners ebbe inizio nel 1980, anno in cui entrò a far parte delle giovanili.
L’ esordio arrivò nell’ 83 contro il Sunderland e nelle stagioni successive vedendolo giganteggiare al centro della difesa ed apprezzandone carisma e personalità da leader, George Graham nel 1988 lo elesse capitano.
Cominciarono ad arrivare i successi, nell’ 87 l’Arsenal conquistò la coppa di lega, poi arrivarono due titoli vinti nell’ 89 e nel 91 ed Adams entrò in pianta stabile a far parte del giro della nazionale.
Insomma la carriera di Tony stava spiccando il volo, ma all’ improvviso, il lato oscuro della sua personalità prese il sopravvento.
“Tony non sorridi più quando giochi” Il padre di Adams durante il periodo buio
L'ALCOL E LA PRIGIONE
I primi guai con l’alcool risalgono a fine anni ’80: risse nei nightclub, incidenti automobilistici, brevi periodi di prigione.
Perde la nazionale e i mondiali di Italia ‘90.
Perde il sorriso semplice da ragazzone duro e si isola nella sua dipendenza.
Nel 91 fu arrestato per guida in stato di ebbrezza e trascorse 58 giorni in prigione, in quel periodo la moglie si stava disintossicando dalla droga e Tony cominciò a bere, sempre di più.
Nella sua biografia ammise: “bevevo per festeggiare i successi e per smaltire le delusioni, insomma bevevo sempre”, poi raccontò dell’ incidente a 180 all’ora la sera dell’arresto, della caduta dalle scale che gli costò 29 punti di sutura in testa, del sesso a pagamento e della pipì a letto.
Arrivò persino a scendere in campo ubriaco, durante la stagione 93/94.
Personalità contrastante quella di Adams: il calciatore era forte, deciso, guidava la difesa e rispondeva agli insulti dei tifosi avversari con determinazione e sicurezza nei propri mezzi, l’ uomo invece era estremamente fragile e insicuro, tanto da ammettere “in quel periodo mi sentivo un padre fallito (ha 3 figli), un marito abbandonato, pensavo di essere più forte di mia moglie, invece ero più tossico di lei” e tentava di supplire al disagio interiore attaccandosi alla bottiglia.
Riguardo gli allenamenti dopo le sbornie disse:
“Negli allenamenti che seguivano una sbronza, mi mettevo un doppio strato di indumenti, sudavo tutto quello che avevo bevuto e riuscivo ad andare avanti. Gli allenamenti mi davano la possibilità di fuggire da me stesso, bastava che ci si limitasse agli esercizi fisici e che Graham non tirasse fuori il pallone”.
Com'era arrivato, Adams, fino a quel punto di non-ritorno?
E' una storia lunga e difficile, che ha per fondale un' Inghilterra tra l' inizio dei Settanta e la seconda metà dei Novanta.
Da bambino, Adams aveva rivelato una precoce inclinazione panico/depressiva: al «calar della notte» cioè alle 4 del pomeriggio guardava fuori dalla finestra, sentendosi «solo e vuoto», colpito da «un' angoscia indefinita» che gli faceva «battere il cuore all' impazzata».
A scuola, più tardi, era stato uno studente «debole e a disagio»: in soggezione verso gli insegnanti, timido con le ragazze e sfottuto dai compagni.
Da adolescente cioè già da giocatore in ascesa era stato protagonista di tante bravate teppistiche (come la distruzione dei finestrini delle macchine parcheggiate), scoprendo appunto l' alcool come ansiolitico/anestetico delle sue difficoltà psicosociali.
E nel pieno della giovinezza, a 24 anni cioè ormai da nazionale affermato aveva addirittura fatto l' esperienza del carcere: 9 mesi (poi ridotti per buona condotta) da scontare a Chelmsford per aver guidato in stato di ubriachezza e aver invaso con la macchina una proprietà privata.
Qui ci si aspetterebbero pagine chiuse e disperate: invece, con le descrizioni impressionanti della cella (un buco con un secchio per pisciare) e dello spegnersi delle luci per la notte ci sono anche momenti di vitalismo felice (il caos dei 50 detenuti che si disputano il pallone) e contrappunti ironico-sarcastici («il barbiere era un fan degli Spurs, così sono uscito dal carcere coi capelli lunghi»).
Adams non incolpa nessuno di questo suo percorso problematico.
Anzi, se si esclude qualche insofferenza sacrosanta per il cinismo dei media e dei tifosi, esprime il suo debito verso chi lo ha aiutato a contrastare il proprio istinto autodistruttivo.
Verso i genitori «East Enders» della zona industriale di Stepney (una Pero londinese), il padre camionista e poi asfaltatore che ha interrotto la carriera calcistica per l' asportazione di un rene a 25 anni e che ha sempre incoraggiato il figlio. Verso l' ex moglie Jane, che anzi gli ha indicato la via del recupero risalendo lei stessa da una lunga tossicodipendenza.
Verso i suoi allenatori, che lo hanno sempre compreso (George Graham) o addirittura sorretto con un dialogo profondo e con un' assistenza medico-scientifica (Arsène Wenger).
Verso i compagni e i colleghi ancora più sfortunati.
Verso gli amici fedeli, come gli stessi Merson e Jacobs.
LA DISINTOSSICAZIONE E LA RINASCITA CALCISTICA
"Se il mondo ti ripaga nella lotta per il successo e ti fa re per un giorno, vai e guardati allo specchio, e chiedi all'uomo che vedi il suo parere. Erano le ore 17 di venerdì 16 agosto 1996: il mio ultimo goccio di alcol".
Il fegato di svelare che dopo la semifinale dell'Europeo '96 contro i tedeschi, persa ai rigori, è stata tutta una bevuta cominciando negli spogliatoi ("A forza di lattine di Carling Black Label") e proseguita sul pullman, in albergo, nella notte e il giorno dopo, nel deserto della mattina in ritiro, l'hotel vuoto e Tony con la sua pinta in mano.
"Bevevo per festeggiare i successi e per smaltire le delusioni, dunque bevevo sempre".
Una droga, un doping esistenziale per reggere il ruolo, per darsi forza: "Il mio valore come persona era in ciò che facevo, non in ciò che ero" e in questa frase c'è tutto il dramma del campione immerso nella falsità, nel circo di plastica che pretende prestazioni, record, trionfi e in qualche modo bisogna tenersi su, e mai mostrarsi deboli, deboli mai.
Tony racconta di quando rimbalzava da un pub all'altro e sapeva a memoria i turni dei tipografi, degli idraulici, dei muratori, di tutti quelli che riuscivano a fermarsi al secondo boccale e lui invece no.
La moglie Jane si stava disintossicando dalla droga e Tony si sentiva superiore, "invece ero più tossico di lei".
Tre figli quasi dimenticati, gli infortuni da superare col bisturi e la bottiglia, la vergogna, la fatica di nascondere questa vita sempre più barcollante.
"Ricordo le otto settimane nel carcere di Chelmsford per guida in stato di ubriachezza, con l'incidente, la rovinosa caduta dalle scale di un night che mi aveva lasciato una ferita di 29 punti in testa, un conto da 5.800 sterline in un night, la pipì a letto".
Tony racconta di quando prese una ragazza per una notte d'amore senza amore, le bottigliette del minibar a terra e solo un pensiero in testa, bere ancora, bere ancora.
Poi le lacrime, la solitudine, una canzone (Black Coffee in Bed degli Squeeze) ascoltata a letto come in un delirio e ancora piangere e sudare fino a perdere litri, e con quell'espulsione era come se uscisse fuori la vita di prima, "il passato che è come un paese straniero".
Da quel paese Tony Adams è scappato da uomo, non da super eroe, aiutato da un amico che si chiama Steve Jacobs e che già aveva guidato Paul Merson, compagno di Adams, fuori dall'incubo della droga e del bicchiere.
"Alla prima riunione degli Alcolisti Anonimi dissi "mi chiamo Tony e sono un bevitore", poi tutto è stato naturale".
Uscire non solo dall'alcol ma dall'ipocrisia:
"Non sono più il calciatore Tony Adams ma il signor Tony Adams che gioca a calcio, suona il piano, fa il padre e vive".
Ora non è più il tempo in cui Tone si imbottiva di sacchetti della spesa per sudare marcio e perdere i chili "da birra", eppure lui non si sente un salvato in eterno: "Nessun alcolista lo è mai, l'importante è non ricominciare perché per noi un bicchiere è troppo e cento non sono niente".
LA RINASCITA
Qui inizia la seconda vita di Tony Adams, il capitano è di nuovo sereno, e ritrova il piacere di giocare a calcio e riconquista anche il giro della nazionale, anche grazie all’appoggio di compagni e tifosi, che anche nei momenti più bui l’hanno sempre sostenuto.
Nel 98 con l’Arsenal vince campionato ed FA Cup e in estate prende parte alla spedizione inglese ai mondiali di Francia.
Quattro anni dopo nel 2002, l’Arsenal si ripete, di nuovo campione in Premier e in FA Cup, saranno gli ultimi trofei di Tony Adams (che a fine stagione si ritirerà) con la maglia dei Gunners, con la quale alla fine disputerà 668 presenze realizzando più di 40 reti, lasciando una traccia indelebile nella storia di questo club e nel cuore dei suoi tifosi e vari spunti di riflessioni a tutti gli appassionati di questo sport e non solo.
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