Ron Artest, oggi conosciuto come Metta World Peace, nasce il 13 Novembre 1979 a New York.
Ron, nel cambio di nome, avrebbe fatto leva sull'odio che molti tifosi gli riversano, e chiunque volesse insultarlo sarà ora costretto a gridare "I hate Metta World Peace" (odio la pace nel mondo).
Ron è conosciuto anche per tutto quel che ha combinato dentro e fuori il parquet.
Fin da giovane ha lottato con problemi mentali che lo hanno portato ad essere violento e spesso sopra le righe.
I primi incontri con lo psicologo, il piccolo Ron comincia ad averli attorno agli 8 anni, quando nel quartiere non esattamente residenziale del Queens, New York, è costretto a difendersi e ad attaccare per non soccombere sotto le spinte di una città che con i deboli non ha pietà.
Figlio di papà Ron Artest Senior , veterano dei marines con problemi d'alcolismo ed ex pugile con tutto quel che ne consegue.
Già dalla più tenera età sviluppa una naturale predisposizione allo scontro, dopo le notti insonni in cui il padre picchiava la moglie, e soprattutto dopo un evento che Ron ancora ricorda: l'uccisione di un amico pugnalato alla schiena.
La rabbia che Artest porta dentro sembra indirizzarlo verso la boxe, così da incanalare un'energia potente verso qualcosa di meno distruttivo delle strade di New York.
Ciò nonostante, essendo la Grande Mela la capitale mondiale del Basket, il talento per la palla a spicchi è decisamente troppo forte.
Seguiranno anni liceali memorabili, scanditi dal soprannome "True Warrior" che gli viene affibbiato per la sua attitudine guerriera sul campo.
LA NBA
Già inserito di diritto nel primo quintetto della talentuosissima e trafficata Big East, decide nel 1999 di dichiararsi eleggibile al draft Nba.
Scout e franchige illustri sono impressionate soprattutto dalla sua capacità di difendere, tanto da indurre molte squadre a promettere chiamate altissime alla draft lottery.
Tuttavia, in pieno stile Ron Artest, la considerazione dei suoi estimatori è decisamente calata quando si venne a sapere che il nativo di New York non si presentò ai vari meeting per le matricole intento riprendere energie nel letto dopo una intera notte passata con una prostituta.
Le sue quotazioni scenderanno di molto dopo questo episodio, portando il suo nome sulla bocca di Stern soltanto alla chiamata numero 17 effettuata dai Bulls dell'immediata era post Jordan.
Ron ha alle spalle qualcosa come 15 stagioni NBA: Chicago, Indiana, Sacramento, Houston, LA Lakers e New York con il titolo Nba conquistato al fianco di Kobe Bryant nel 2010.
Più volte nominato miglior difensore, ha segnato poco meno di 13.000 punti.
RISSE E PROBLEMI FUORI DAL CAMPO
Nel primo anno di NBA, ai Bulls, dichiarò apertamente che negli intervalli dei match negli spogliatoi per reintegrare beveva cognac, ma la “scena madre” fu nel 2004 quando in Pacers-Pistons dette vita ad una scazzottata con Ben Wallace e da lì la rissa si spostò addirittura sugli spalti con tifosi avversari stesi, qualsiasi tipo di oggetto volato in campo ed alla fine ben 73 giornate di squalifica per Artest.
Passato ai Lakers, e già con il nome di Metta World Peace, eccolo di nuovo in azione quando stende con una gomitata James Harden, apparentemente senza senso.
Ma altre perle della sua vita parlano anche di quando fu sospeso dai Pacers perché, nel bel mezzo della stagione, chiese un mese di vacanza perché doveva incidere un disco.
LA PIU' GRANDE RISSA DI TUTTI I TEMPI: DETROIT PISTONS VS INDIANA PACERS(2004)
La stagione 2004-2005 non è ricordata dagli appassionati NBA per il trionfo finale degli Spurs sui Pistons, né per essere stato l’anno dei vari Lebron James, Anthony, Wade e Bosh.
Quel campionato passò alla storia per le squalifiche che il commissioner David Stern inflisse ai colpevoli dopo i fattacci del Palace di Auburn Hills.
Nei playoff della stagione precedente, i Pistons e i Pacers si erano incontrati nella finale di Conference: in gara 6 Artest aveva fatto un brutto fallo su Richard Hamilton, tirandogli un pugno.
I Pistons avevano poi vinto la partita e passato il turno, per vincere in seguito il titolo NBA, in finale contro i Los Angeles Lakers.
Tra le due squadre era quindi nata una certa rivalità.
Il 19 novembre dell'anno seguente(2004 è appunto ricordato come il giorno della più incredibile rissa mai accaduta su un parquet NBA. Protagonisti i giocatori dei Pistons e dei Pacers, che si stavano contendendo una delle prime partite di regular season, un match di importanza relativa ai fini della classifica.
Indiana, che aveva chiuso la contesa già dal terzo quarto, conduceva di 97-82 a 45 secondi dalla sirena finale.
Nel quarto quarto Hamilton diede una gomitata a Jamaal Tinsley dei Pacers e ci furono le prime proteste e discussioni.
La partita iniziò a essere molto fallosa: qualche minuto dopo Ben Wallace, il centro dei Pistons molto forte e possente, spinse Artest contro il supporto del canestro.
In uno degli ultimi attacchi finali di Detroit, Ben Wallace provò un terzo tempo ravvicinato subendo un fallo gratuito ma non eccessivamente scorretto da parte di Ron Artest.
Il centro dei Pistons reagì in maniera spropositata al fallo, forse vista anche la sconfitta imminente, spingendo l’ala dei Pacers con veemenza e cercando di colpirlo successivamente in altri modi.
Gli altri giocatori, insieme agli arbitri, fermarono tempestivamente i litiganti per evitare il peggio.
Si creò così un parapiglia abbastanza acceso e pericoloso tra giocatori, panchinari, dirigenti ed addetti alla sicurezza.
Artest reagì in maniera inspiegabile: si sdraiò sul tavolo dei segnapunti, si mise un paio di cuffie e cominciò a parlare in un microfono spento.
Il suo comportamento fu considerato come una provocazione e Reggie Miller lo raggiunse per toglierli le cuffie, mentre altri giocatori e assistenti cercavano di calmare Wallace.
Altri giocatori dei Pacers e dei Pistons cominciarono a discutere e a spintonarsi, quando un tifoso di nome John Green tirò dagli spalti un bicchiere pieno di Coca-Cola e ghiaccio, colpendo sul petto Artest.
Ron, perso il controllo, si scagliò contro il tifoso colpevole, menando colpi a destra e a manca con il compagno di squadra Stephen Jackson.
Il putiferio.
Giocatori contro tifosi, lanci di sedie e di birre, bambini in lacrime, addetti alla sicurezza incapaci di sedare gli animi.
Larry Brown, allora coach dei Pistons, e l’analista radiofonico Ricky Mahorn cercarono di calmare il pubblico del Palace lanciando un appello con gli altoparlanti.
Un tutti contro tutti impressionante.
Un’incredibile rissa da far-west, in diretta nazionale sugli schermi di ESPN.
In particolare Ron scavalcò i commentatori dietro il tavolo fratturando cinque vertebre a uno di loro e salì per i sedili.
Raggiunse un altro tifoso pensando che fosse quello che gli aveva tirato il bicchiere e lo spintonò, mentre Green lo afferrava da dietro: in breve tempo si scatenò una zuffa tra i tifosi, Artest e Jackson.
Poi arrivò J.O'Neill.
Dopo essere stato portato di nuovo in campo, Artest tirò un pugno a un tifoso e le cose degenerarono: i giocatori furono scortati fuori dal campo mentre i tifosi tiravano dagli spalti bibite e oggetti.
Uno spettacolo primordiale, irrazionale, assurdo, che ebbe fine solamente quando i giocatori entrarono nel tunnel per gli spogliatoi.
LE SQUALIFICHE
Fu l’ultima partita dell’anno per Ron Artest, che venne fermato per tutta la stagione : 73 partite più gli eventuali playoff, la squalifica più lunga della storia NBA.
Stephen Jackson venne sospeso per 30 partite, Jermaine O’Neal per 25, Ben Wallace per 6, Anthony Johnson per 5, Derrick Coleman, Chauncey Billups, Elden Campbell e Reggie Miller per una a testa.
Punizioni micidiali e forse sproporzionate rispetto ad altre comminate in passato per fatti analoghi: nel 1995 Vernon Maxwell, guardia dei Rockets, salì in tribuna a Portland per colpire un tifoso e venne squalificato per 10 gare.
Stern usò il pugno di ferro per i fatti di Auburn Hills, cercando di mandare un messaggio alle altre “teste calde” della Lega: comportamenti del genere da parte di professionisti ultra-pagati non sarebbero stati più accettati.
Dopo la rissa di Detroit, l’NBA consentì ai Pacers di firmare alcuni free agent per sostituire gli squalificati: vennero fimati l’ala Tremaine Fowlkes, l’ala forte Britton Johnson e la guardia Michael Curry.
Ci fu poi un processo e cinque giocatori dei Pacers (O’Neal, Artest, Jackson, Harrison e Anthony Johnson) e cinque tifosi furono accusati per aggressione e percosse: John Green scontò 30 giorni di detenzione in carcere, mentre gli altri accusati furono multati o condannati a scontare la pena ai servizi sociali o con la libertà vigilata.
Nonostante questo susseguirsi di eventi inaspettati, i Pacers riuscirono a chiudere la regular season con un record positivo (44-38), qualificandosi per i playoff dove, dopo aver superato i Celtics, persero (ironia della sorte) proprio contro i Pistons al secondo turno.
La Gara 6 con cui Detroit staccò il pass per le Finali di Conference è ricordata soprattutto come l’ultima partita NBA di Reggie Miller, icona, bandiera e beniamino di Indianapolis per diciotto anni consecutivi.
I Pistons, dal canto loro, dopo aver vinto l’anello nella stagione precedente, persero la finalissima in gara 7 contro i San Antonio Spurs di Tim Duncan.
IL RESTO DELLA CARRIERA
Artest non giocò più nella stagione 2004-2005 e all’inizio del 2006, dopo aver giocato sedici partite coi Pacers, fu scambiato con i Sacramento Kings per il serbo Peja Stojaković.
La prima metà di stagione di Artest a Sacramento fu buona e la squadra riuscì a raggiungere i playoff.
Le sue altre due stagioni furono meno entusiasmanti: secondo molto osservatori, Artest non tornò ai livelli dell’ultima stagione a Indiana, e i Kings non arrivarono più ai playoff.
Nel 2007, dopo essere stato arrestato e accusato di violenza domestica, fu sospeso a tempo indeterminato dai Kings, che però pochi giorni dopo lo reintegrarono nella squadra.
Nel 2008 fu ceduto agli Houston Rockets, dove giocò bene, arrivando con la squadra ai playoff e uscendo al secondo turno contro i Los Angeles Lakers, che avrebbero vinto il titolo.
L’anno dopo Artest andò proprio ai Lakers, che in quel periodo erano probabilmente la squadra più forte di tutta la NBA: ci giocavano, tra gli altri, Kobe Bryant e Pau Gasol.
Artest si inserì bene e diventò titolare, pur tenendo una media un po’ più bassa del solito, intorno agli 11 punti a partita.
Ebbe quella che in questi casi viene definita una “rinascita”, e giocò soprattutto degli ottimi playoff.
I Lakers andarono in finale contro i Boston Celtics: la serie arrivò fino a gara 7, in cui Artest segnò 20 punti, tra cui un canestro da tre decisivo a un minuto dalla fine.
I Lakers vinsero il titolo.
Nel 2011 il cambio di nome e cognome.
Poi la breve esperienza ai New York Knicks e in Cina, prima di approdare in Italia a Cantù.
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