Eppure, un gruppo poco raccomandabile di Bad Boys stava per affacciarsi nella lega.
Una gang, nel vero senso del termine: unita, compatta e spigolosa, ad immagine e somiglianza di una delle città più dure d’America, Detroit.
La fredda ed industriale Detroit, quella delle catene di montaggio.
Forse mai come in questo caso, una franchigia NBA era riuscita ad incarnare lo spirito di una città, quella voglia di emergere a tutti costi, paura di nessuno, testa alta e sudore.
Tra 1963 e 1983, 20 anni, i Detroit Pistons si qualificarono ai playoff solamente 5 volte, collezionando più che altro brutte/discrete figure ma niente da tramandare ai posteri.
I Bad Boys di Detroit però cambiarono le carte in tavola.
Avevano tutto: grinta, determinazione, durezza, voglia di vincere e di sovvertire i pronostici, mostrando a tutti il proprio valore.
Ad amalgamare il tutto dalla panca era necessario, come logico, un coach di un certo peso, in grado di imporsi su di un tale gruppo di uomini.
Nel 1983, a cercare di dare una svolta alle sorti della franchigia, Chuck Daly venne scelto come nuovo Head Coach della formazione.
Si trattava di un esordiente, dieci anni esatti dopo sarebbe diventato il miglior allenatore nella storia di Detroit.
BILL LAIMBEER
Tra i più duri e vigliacchi della gang, sicuramente Bill Laimbeer: tanti rimbalzi (era un centro), leadership, tiro frontale da fuori e difesa dura, a dispetto di mezzi atletici trascurabili.
Il record forse più duraturo detenuto dall’ex Notre Dame, destinato probabilmente a perdurare per sempre, fu quello delle risse scatenate.
Con Laimbeer di mezzo non poteva non esserci almeno una discussione a partita.
Almeno.
Colpa delle costanti proteste verso gli arbitri, dei continui flop suo marchio di fabbrica, delle provocazioni ripetute e dei tanti colpi sporchi (a palla lontano e non), tra cui gomitate e quant'altro.
Bird, Barkley, Parish, Lanier furono tra i (molti) nomi noti che non resistettero all’invitante tentazione di litigare con Bill.
Il nemico pubblico numero 1 non poteva che essere lui.
“It’s my job.”, così rispondeva Bill a chi gli domandava del suo spigoloso modo di giocare.
Ogni palazzetto che non sia quello di casa (prima Silverdome e poi Palace) si riempie di scalmanati che invocano la sua testa e di migliaia di occhi puntati su di lui per 48 minuti filati, in attesa di scorgere anche solo una mezza spinta sotto i tabelloni per potergli urlare ogni insulto immaginabile.
Ma i colpi proibiti di Laimbeer non arrivano mai per caso: ogni gesto è scientemente studiato per far innervosire gli avversari e/o cambiare l’inerzia della gara.
Attira su di sé urla ed insulti, spesso incassando metaforici lanci di pomodori marci, ma uscendone ogni volta immacolato nello spirito.
Narra la leggenda che sia stato lui il primo giocatore ad aver mai indossato una maschera per giocare col naso rotto.
Le sue diaboliche doti di provocatore offuscarono quelle cestistiche,
DENNIS RODMAN
Uno che invece non credo abbia bisogno di presentazioni è "il verme".
Si, proprio lui, Dennis Rodman era lo specialista difensivo dei Pistons, l’uomo dalle missioni impossibili, con l’obbiettivo sempre fisso in mente di entrare nelle teste altrui.
Scelto nel Draft 1986, incarnava al meglio lo spirito della città e, nello specifico, di quel gruppo.
Per cancellare fisicamente l’avversario dal campo, Rodman affinò vere e proprie tecniche di guerriglia applicate al basket.
Sfide che poi continuavano dietro ad un microfono, con dichiarazioni non sempre diplomatiche che sfociavano in vere e proprio provocazioni.
Nei confronti dei nemici dell'epoca: Larry Bird e non solo.
RICK MAHORN
Rick Mahorn venne acquistato dai Bullets nel 1985, lui portò nel Michigan un devastante concentrato di forza bruta, fisicità e cattiveria.
Era l’ideale spalla del centro Laimbeer, andando gomito a gomito in vere e proprie battaglie sul parquet contro i rivali dell’epoca.
Principe del flagrant foul, Mahorn era sempre in prima linea quando si trattava di scaraventare a terra un malcapitato avversario senza tanti complimenti, impedendo le penetrazioni in area.
ISIAH THOMAS
Scelto nel Draft 1981 con la seconda chiamata assoluta, Isiah Thomas divenne in breve il punto di riferimento dei Bad Boys.
La lingua lunga gli procurò spesso qualche problema, come quella volta in cui Karl Malone gli aprì in due la faccia con una tremenda gomitata, i cui effetti sono visibili tutt’oggi.
Trash talking a parte, di cui si dimostrò un conoscitore esperto in materia, Thomas era la stella riconosciuta della squadra.
JOE DUMARS
L'anima pure del gruppo era Joe Dumars, grandissimo difensore e bravissimo anche in fase offensiva, uno dei migliori sul perimetro nella storia della NBA.
Mai comportamenti provocatori, Joe D differiva da molti suoi compagni di squadra in materia di atteggiamenti, ma condivideva con essi la voglia di primeggiare e di far ricredere gli scettici sulle proprie qualità.
Ideale guardia dello starting five dei Pistons, l’angelo dei Bad Boys è stata una delle più grandi bandiere della franchigia.
LA PANCHINA
The Microwave, Vinnie Johnson, uno dei più forti sostituti mai visti su di un campo da basket, in grado di “accendersi” in un amen una volta entrato sul parquet.
John Salley arrivò anch’egli nel Draft 1986, pronto a rilevare i big men titolari e garantire tante stoppate e gioco fisico.
James Buddha Edwards non era certo dotato della stessa ruvidezza dei suoi partner, ma col jumper e la sua altezza diede un valido contributo.
JORDAN RULES
Quando sei il più grande realizzatore della NBA è lecito pensare che gli avversari faranno di tutto per evitare di farti segnare fermandoti con le buone o con le cattive
Siamo a fine anni 80, finito il dominio dei Boston Celtics di Larry Bird e quello dei Lakers di Magic Johnson ha i giorni contati.
Lo scettro sta per passare di mano e il nome più gettonato è ovviamente quello di Michael Jordan, c’è però qualcuno che non è d’accordo.
Duri e spietati, giocano un Basket fisico e dalle indubbie potenzialità, piegando ogni avversario nella Lega ma Jordan è sempre in agguato e occorre una strategia precisa per tenere a bada il suo incontenibile talento offensivo.
Bill Laimbeer: “Giocare contro Michael Jordan è un ottimo test per la difesa”
Come fare per contrastare Jordan? Un interrogativo non di facile soluzione, eppure i Bad Boys di Detroit trovano un escamotage, escogitando una strategia che prevede di giocare più duro contro di lui, impedendogli di segnare anche a costo di interventi decisamente fallosi o al limite del regolamento.
In genere Michael veniva marcato da Isiah Thomas o da Joe Dumars ma se dovesse riuscire ad avvicinarsi a canestro, o si raddoppia a seconda della zona del campo, Bill Laimbeer e Dennis Rodman hanno carta bianca per fermarlo, spesso andandoci giù davvero pesanti.
Joe Dumars: “Il 95% del gioco passa dalle mani di Michael Jordan e nel restante 5% lui interviene comunque”
Chuck Daly: “Quando Michael arriva, cerchiamo di portarlo verso il lato sinistro per poi raddoppiarlo. Quando si trova a sinistra, mandiamo un raddoppio alto cercando di forzarlo verso la linea di fondo. Se si trova a destra, lo raddoppiamo dal post basso e in area mandiamo in aiuto al difensore un ‘giocatore grosso’.
Un’altra regola è che in qualsiasi momento riesca a passare, lo si blocca con un fallo…”
Nate in principio dalla mente di Isiah Thomas nel 1988, l’obiettivo dei Pistons, che all’epoca erano l’ostacolo che separava MJ dalle tanto agognate Finals, era quello di giocare il più duramente possibile su Michael, aggredendolo costantemente, randellandolo, ma soprattutto variando sempre la difesa, in modo da non permettergli di adattarsi.
Se il 23 prendeva il pallone in punta, veniva costretto ad andare a sinistra e poi raddoppiato; se si trovava a sinistra, veniva immediatamente raddoppiato; se era sul lato destro, il raddoppio era più leggero.
Se prendeva posizione in post, invece, avveniva il raddoppio con un lungo.
Ma l’aspetto principale era un altro: in qualsiasi momento prendeva la palla, doveva essere aggredito fisicamente.
Per questo motivo, i tifosi di Chicago e della sua stella ritenevano che i Pistons giocassero sporco.
Il succo era che non tirasse Jordan o che lo faccia sempre da raddoppiato, triplicato o subendo un contatto fisico per destabilizzarlo.
In un’epoca in cui il contatto fisico era molto più concesso dagli arbitri, questa tattica difensiva fu tra le chiavi del successo dei Pistons di fine anni ’80 e inizio ’90.
Infatti, nei primi tre incontri ai playoffs tra le due squadre, Detroit ebbe sempre la meglio, in larga parte grazie alle “Jordan Rules”: nell’88 Thomas e compagni s’imposero 4-1 nelle semifinali della Eastern, mentre vinsero in 6 gare nella finale di Conference dell’89 e in 7 in quella del ’90.
L'idea era concedere tiri a giocatori non irresistibili come Bill Cartwright, Dave Corzine o Horace Grant.
Chicago e Detroit come detto si incontrano varie volte in stagione e cominciano a farlo regolarmente anche ai playoffs, finchè nel 1991 le “Jordan Rules” vengono sostanzialmente neutralizzate, quando i Bulls di Phil Jackson e Tex Winter applicano la versione definitiva del famoso Sideline Triangle.
GLI ANNI 80 E IL BASKET GIOCATO
Le prime due stagioni iniziano così così.
Infatti a cavallo tra il 1980 e il 1981 i Pistons stabilirono un allora record di 21 sconfitte consecutive (record poi superato).
Negli anni successivi le fortune iniziarono a cambiare con l'arrivo dei signori citati in precedenza.
Detroit comunque rimane una squadra in piena trasformazione: nelle stagioni tra l’82 e l’87 furono infatti svariate e cocenti le sconfitte ai Playoff per mano dei vari Knicks e Celtics di turno.
A livello cestistico, come si sarà capito, la squadra si fondava essenzialmente sul talento di Isiah Thomas, playmaker rapidissimo, capace di realizzare in penetrazione, buon tiro ma soprattutto grande visione di gioco e uomo assist, determinante nel servire i compagni, con passaggi precisi e smarcanti, tanto da far emergere qualità offensive che alcuni dei suoi compagni non ritenevano di avere.
A ciò si aggiunse, anno dopo anno, una difesa fortissima, fatta di aiuti e soprattutto, una cattiveria agonistica ai limiti del consentito, la filosofia consisteva nel principio difensivo: " se il compagno è superato, bisogna stendere l'avversario!".
Celebri restano i colpi proibiti che erano costretti a subire le superstar avversarie, tra cui Larry Bird e Jordan, sempre steso a terra dolorante.
In campo botte, impatto fisico esagerato, celebre la rissa che coinvolse i Celtics e i Pistons dopo l'ennesimo colpo subito da Larry Bird.
Nel 1985 i Pistons vinsero la loro prima serie Playoff, affrontando poi in semifinale i Boston Celtics campioni uscenti.
Nonostante la vittoria dei Celtics per 4-2, la sorprendente prestazione dei Pistons pose le basi per una rivalità che si sarebbe infiammata per tutto il decennio successivo.
Fu dopo quella sconfitta che l'allenatore Chuck Daly e il capitano Isiah Thomas stabilirono che l'unico modo per salire ai vertici dell' Eastern Conference era adottare uno stile di gioco più aggressivo, fisico e difensivo...la nascita dei "Bad Boys".
Nel 1987 i Pistons raggiungono le finali di Eastern Conference, miglior risultato dai tempi di Fort Wayne.
Ancora una volta ci sono i Celtics di Bird.
Dopo aver portato i campioni in carica sul 2-2, i Pistons si fermarono a pochi secondi da una vittoria in gara 5 al Garden grazie a Bird che anticipa il passaggio su una rimessa e ruba la palla passandola velocemente a Dennis Johnson che realizza il tiro della vittoria in lay-up.
I Pistons vinceranno gara 6 a Detroit ma i Celtics vinceranno gara 7 a Boston ponendo fine alla serie.
Motivati dalla sconfitta e aiutati anche dall'acquisizione di James Edwards, i Pistons raggiungono un allora record per la franchigia di 54 vittorie, vincendo per la prima volta nella storia la Central Division.
Ai Playoffs 1988 i Pistons riescono a vendicare le due precedenti sconfitte con i Celtics sconfiggendoli per 4-2 e avanzando alle Finali 1988 per la prima volta dal loro arrivo a Detroit.
La prima finale dei Pistons li vide contrapposti ai Los Angeles Lakers guidati da Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar e James Worthy.
Dopo una serie di 3-2 a favore dei Lakers, i Pistons sembravano sul punto di vincere il loro primo titolo NBA in gara 6.
In quella partita Isiah Thomas, con una caviglia slogata, mise a segno un record per le Finali NBA di 25 punti nel terzo quarto.
Nonostante ciò, i Lakers vinsero la partita per 103-102, grazie a due tiri liberi realizzati da Jabbar a seguito di un fallo chiamato su Bill Laimbeer, definito da molti tifosi di Pistons e da Laimbeer stesso un "fallo fantasma".
Con Isiah Thomas non in grado di giocare al massimo, i Pistons vennero sconfitti a fatica per 108-105.
Molti ne sarebbero usciti con le ossa rotte, ma non loro, non i Bad Boys.
I TITOLI 1989 E 1990
Nel 1989 i Pistons completano la costruzione della rosa cedendo Adrian Dantley in cambio di Mark Aguirre, vinceranno 63 partite, frantumando il precedente record della franchigia, avanzando ai Playoffs fino alla rivincita contro i Lakers.
Questa volta i Pistons ne escono vittoriosi distruggendo i Lakers per 4-0 e vincendo il loro primo titolo NBA.
Dumars, guardia dal grande arresto e tiro, atleta e difensore superlativo, venne nominato MVP delle Finali.
I Pistons difesero con successo il titolo nel 1990.
Dopo aver vinto 59 partite e il terzo titolo di Division, avanzarono nei Playoffs arrivando alle finali di Eastern Conference per la quarta volta consecutiva contro i Chicago Bulls di Michael Jordan. Affrontandosi per la terza stagione consecutiva, i Pistons e i Bulls si dividono equamente le prime sei partite ma i Pistons conclusero la serie con una vittoria per 93-74 in gara 7.
Era il periodo delle cosiddette "Jordan Rules", come abbiamo visto un codice non scritto prodotto dallo spogliatoio dei Pistons, un insieme di principi "difensivi" per limitare il talento di Michael Jordan, con continui raddoppi, falli sistematici, gioco durissimo e sporco, una battaglia sia psicologica che fisica, per distruggere il gioco di Michael.
L'aggressività del team si manifestava anche fuori dal campo, Thomas e compagni sistematicamente avevano parole poco carine per i loro antagonisti, in particolare Isiah arrivò ad affermare che Larry Bird, se fosse nato nero, non sarebbe stato considerato altro che un normale buon giocatore, e non una superstar.
Questo costò a Thomas l'esclusione dal Dream Team 1992, poichè si dice che Jordan e Bird si opposero.
Ad ogni modo, tornando ai Pistons, arrivati per la terza volta consecutiva alle Finali, questa volta è il turno dei Portland Trail Blazers.
Dopo aver diviso le vittorie nelle prime due partite al Palace, i Pistons andarono a Portland, dove non vincevano una partita dal 1974, per giocare gara 3, gara 4 e gara 5.
I Pistons vinsero tutte e tre le partite a Portland, diventando la prima squadra a vincere le tre partite centrali in trasferta.
Il momento decisivo arriva all'ultima partita.
I Pistons, in svantaggio per 90-83 a due minuti dalla fine, vincono per 92-90 grazie a un tiro da 5 metri a 0,07 secondi dalla fine della partita di Johnson, che gli valse il soprannome di "007", insieme al suo soprannome originale," Microwave", ovvero "Microonde".
Isiah Thomas venne nominato MVP delle Finali, coronamento della sua carriera e del suo grande talento.
La corsa al titolo dei Pistons nel 1991 si concluse alle finali di Eastern Conference, dove Jordan e i suoi Bulls spazzarono via i Pistons per 4-0, chiudendo in pratica l'era dei Bad Boys.
La principale causa della loro eliminazione fu l'infortunio di Thomas, operato al polso appena prima dei Playoffs.
Le finali di Conference furono ricordate soprattutto perché nell'ultima partita i Pistons uscirono dal campo poco prima della fine senza stringere la mano ai Bulls.
Del resto, l'epopea dei Bad Boys finì quella sera ma la reputazione da difendere non è un qualcosa di poco conto.
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